Le mura megalitiche di Casalucense
a Sant’Elia Fiumerapido
Benedetto Di Mambro
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Furono casualmente rinvenute nella primavera del 1992 da Sabatino Di Cicco e con molta probabilità sono da far risalire al IV o III secolo avanti Cristo. Si ergono, imponenti e massicce, costruite in tecnica poligonale di I° e II° maniera, sulle colline di Casalucense a Sant’ Elia Fiumerapido.
La prima muraglia si dipana a forma di circuito apprositivamente oblungo, a mo’ di fortezza di avvistamento, sulla sommità del colle di Costalunga (m. 348) a nord del Santuario-Monastero di Casalucense (m.198), prospicienti la gola del Rio Secco e la valle di Olivella, sui primi balzi di monte Cierro (m.461) e del retrostante monte Cifalco (m.947). E’ formata da massi giganteschi sovrapposti l’uno sull’altro senza alcun legante cementizio ed ha un perimetro di un centinaio di metri. Quelle rivolte ad ovest, lungo il crinale di Costalunga e cioè verso Olivella, raggiungono nei punti più alti l’altezza di circa m. 5 ed hanno uno spessore di oltre mezzo metro. I massi che le compongono raggiungono le dimensioni di cm. 100 x 80 per oltre mezzo metro di profondità.
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Mura megalitiche est di Casalucense a Sant' Elia Fiumerapido
Quelle rivolte verso est sono rimposte su un terrapieno ed in parte sono crollate. Quelle che restano sono alte circa m. 3 e larghe cm. 70. Ad un certo punto, come constatato in successive escursioni del sottoscritto con Pasquale Cerrone, quelle rivolte a sud cominciano a scendere, per oltre cento metri, verso il Santuario di Casalucense ed in parte i massi sono rotolati a valle. La strada per Pratolungo (o Pietre Lunghe, come usano chiamare il sito da queste parti) le interrompe e le taglia ma, sotto il ciglio stradale, ricominciano a scendere a spezzoni che si snodano nella boscaglia che le nasconde e sono per lo più alte m. 2,20 e spesse cm. 70. Giunte a circa 200 metri a monte del Santuario cominciano a risalire verso sud-est, costituite per lo più da asperità naturali, e quindi verso il colle di Campopiano (m. 476).
Probabilmente, come cercheremo di dimostrare e come già ebbi ad ipotizzare ed argomentare nel 2002 nel mio libro “Sant’ Elia Fiumerapido ed il Cassinate”, ci troviamo di fronte ai possenti resti dell’antica città sannitica di Amiternum, a guardia della gola del Rio Secco e dell’antica via pedemontana che da Interamna Lirenas e quindi da Casinum conduceva ad Atina e Cominium, in Valle di Comino, e distrutta dai Romani nel 293 a.C. nel corso della terza Guerra Sannitica (298-291 a.C.). I resti ancora visibili delle mura, compreso il circuito di Costalunga, si estendono per oltre un chilometro.
Molto si è discussso e si continua a discutere sulla collocazione geografica dell’Amiternum sannitica di cui ci parla lo storico romano Tito Livio. Qualcuno la colloca nei pressi de L’Aquila, a San Vittorino, ma quell’Amiternum era in Sabina e non nel Sannio. Il territorio di quest’ultima, assieme a quello dei vicini Vestini, fu devastato una prima volta dai consoli romani Bruto Sceva e Furio Camillo nel 325 a.C., nel corso della seconda Guerra Sannitica (324-303 a.C.) e quindi la città fu definitivamente occupata solo nel 290 a.C, dalle legioni di Manlio Curio Dentato ( console con Publio Cornelio Rufino), tre anni dopo la presa dell’ Amiternum sannita, divenendo sede di una Praefectura (Andrè Piganiol:” Le Conquiste dei Romani”, Parigi 1967) e di una colonia penale. E poi le azioni militari dei Romani del 293 a.C. erano rivolte
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esclusivamente contro il Samnium vero e proprio (estremo Lazio sud-orientale con Atina e la sua valle, Abruzzo meridionale, Molise ed i monti del Matese, Irpinia, confini con Puglia e Lucania) e diverse città campane alleate dei Sanniti: i Romani avevano necessità di aprirsi un più agevole passaggio verso l’Italia meridionale, soprattutto la Puglia, sino ad allora ostruito e reso insicuro dalla presenza dei Sanniti proprio sui monti dell’Appennino centro-meridionale. D’altronde le città sannite di Amiternum, Cominium e Aquilonia dovevano essere poste a guardia delle strade di accesso verso il territorio
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Altro tratto di mura megalitiche est di Casalucense a Sant' Elia
Fiumerapido.
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dei Pentri, e cioè le montagne del Matese con Aesernia, Bovianum Vetus (Pietrabbondante), Bovianum (Bojano) e Saepinum.
Lo storico inglese E.T. Salmon, massimo studioso di storia, usi e costumi dei sanniti (Il Sannio e i Sanniti, Cambridge 1967), traducendo dal cap. XXXVI al cap. XXXIX il “Liber X – Ab Urbe Condita” dello storico romano Tito Livio, scrive che le legioni romane, per andare verso Cominium, dove devastarono la campagna atinate (“…maxime depopulato Atinate agro…”), partirono da Interamna Lirenas (“… Interamnam, coloniam Romanam, quae via Latina est”…), dove il console Spurio Carvilio Massimo prese il comando dell’esercito lasciatovi dal suo predecessore Marco Atilio (… prior Sp. Carvilius, cui veteres legiones, quas M. Atilius … in agro Interamnati reliquerat, decretae erant”).
Quindi da Interamna, non molto distante da Casinum, risalendo la valle del fiume Rapido e quindi l’attuale territorio di Sant’Elia Fiumerapido, Spurio Carvilio Massimo conquistò e distrusse, lungo il percorso, proprio la città sannita di Amiternum (… in Samnium profectus…Amiternum oppidum de Samnitibus vi cepit.”), che lui individua, secondo una vecchia ipotesi ottocentesca, priva di attuali evidenti riscontri testimoniali, dell’ archeologo abruzzese Carmine Mancini, nella contrada santeliana di Santa Maria Maggiore, anch’essa situata nella valle del fiume Rapido. Noi seguiamo, grossomodo, il percorso tracciato da Carmine Mancini e da E.T. Salmon, ma ci azzardiamo a collocare la città sannita di Amiternum a nord-ovest di Santa Maria Maggiore e precisamente sulle alture di Costalunga a Casalucense, proprio alla luce del ritrovamento di quelle possenti e lunghe mura megalitiche in quei luoghi e di altre considerazioni che faremo più avanti.
Come già prima accennato, sulla sua collocazione geografica e sul significato del suo nome Amiternum molto si discute e molto, forse, si discuterà anche in seguito. Non pochi problemi di ordine geografico, infatti, rispetto alle operazioni tattico-belliche delle legioni romane, in quel 293 a.C., pone la collocazione dell’Amiternum di Tito Livio in Sabina a San Vittorino presso L’Aquila. Problemi meno geografici ma toponomastici porrebbe, invece, un’ eventuale Amiternum sannita posta a metà strada, in territorio di Sant’Elia Fiumerapido, fra Interramna e l’agro atinate. Ma perché Amiternum? Oltre all’ Amiternum sabina, che prendeva il nome dal vicino fiume Aternum, c’era una Amiternum sannita?
Sul secondo quesito non ci sono problemi. Per i popoli osco-umbro-sabelli, pastori nomadi, non poche erano le città italiche che portavano, in quel tempo, lo stesso nome: Interamna (Nahars in Umbria, Pretuttiorum nel Piceno e Lirenas nei pressi di Casinum); Trebula (Mutuesca in Sabina , Suffenas sui monti Simbruini e Balliensis in Campania) e così via. Per non parlare poi dei nomi dei fiumi: Clanis (Chiana) in Etruria, Clanis (Lagni) in Campania e Clanis che poi diventerà il Liris nel Latium Adiectum; Aturnum per Volturno e Aternum per Pescara; Thibris per Tevere e Thifris per Tiferno o Biferno.
Poteva senz’altro esservi una seconda Amiternum: una in Sabina e l’altra nel Sannio. Quella Sabina, come già visto, prendeva il nome dal vicino fiume Aternum (oggi fiume Pescara), …e quella sannita? A mio modesto parere, il nome dell’ Amiternum sannnita derivava dalla fusione del sostantivo neutro latino ami (o ammi) con l’aggettivo latino aeternum : ami = una specie di comìno; aeternum = eterno, perenne.
Il comìno, chiamato oggi dai nostri contadini anche “cumìno” o “cimìno”, è una pianta erbacea aromatica perenne, della famiglia delle ombrelliferae, il cui arbusto è alto fino a cm. 60. Cresce sui prati delle colline dell’Appennino settentrionale e centrale e, nel nostro caso, anche sulle colline e sulle alture circostanti le alture di Casalucense e di Costalunga, che in epoca sannitica ne dovevano essere ricche. Dei piccoli petali dei suoi fiori bianchi e dei suoi semi se ne faceva e se ne fa uso, ancora oggi, per ricavarne spezie per il condimento delle carni, soprattutto di maiale e delle salsicce che se ne ricavano.
L’ami - aeternum potrebbe essere dunque l’Amiternum sannita che cerchiamo: quella di Costalunga e di Casalucense a Sant’Elia Fiumerapido. Come già detto, d’altronde, le uniche opere di fortificazioni poligonali, a metà strada fra Interamna e l’agro atinate, le troviamo proprio lì.
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Il testo e le foto sono state
gentilmente fornite dall'autore.
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Storia dei Sanniti e del Sannio - Davide Monaco - Isernia
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