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Ercole, il mito della forza del giovane guerriero.
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Alle origini di un mito.
E' difficile definire un preciso periodo o una fase storica in cui compare il nucleo del mito di Eracle, anche se è realistico pensare che esso veicoli retaggi antichissimi, che risalgono al Neolitico e passano poi per il mondo minoico-miceneo: purtroppo, però, il nome dell'eroe non è attestato - come avviene per quello di Zeus, Poseidone, Artemide e Atena - sulle tavolette in "lineare B".
Gli studiosi sono comunque concordi nell'affermare che, a partire dall'epoca minoico-micenea (seconda metà del II millennio a.C.), circolavano oralmente dei racconti che avevano per protagonista un giovane e valente guerriero-avventuriero, il quale assumeva le vesti di eroe purificatore di un mondo ancora soggiogato ai mostri e alle forze del Caos. Questo eroe acquisiva inoltre, mano a mano, i connotati dell'eroe viaggiatore, che conquistava alla conoscenza dell'uomo nuovi territori ed allargava, sia verso occidente sia verso oriente, i confini delle terre fino ad allora conosciute: non è certo difficile riconoscere in questo personaggio l'Herakles dell'epoca classica.
Ben presto, con il progressivo ampliarsi delle esperienze coloniali greche, il mito di Eracle cambia i propri orizzonti: dal Peloponneso, che è stata la sua terra di origine e rappresenta il primo palcoscenico delle sue avventure, si passa a poco a poco ad altre regioni della Grecia, quindi in Sicilia ed in Magna Grecia fino ad arrivare nel Sannio, a Roma ed in Gallia.
Provenienza del mito.
L'Ercole italico deriva dunque dall'Herakles greco e rappresenta essenzialmente la ricezione delle credenze greche da parte degli Italici. Il suo culto giunse ai Sanniti da un lato per il tramite della Magna Grecia (contatti lucani, Paestum e le zone del Salento), dall'altro attraverso la mediazione del mondo e della cultura degli Etruschi, che conoscevano e veneravano Eracle con il nome di Hercle.
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Ercole raffigurato dal Pittore del Primato. Lucania 350 - 340 a.C.
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In Sabinia e presso i Latini venne riconosciuta a Ercole la funzione di protettore dei commerci e le leggende del passaggio di Eracle attraverso l'Italia, e delle sue imprese avventurose ivi compiute, favorirono questa ricezione: sembra in particolare che la colonia greca di Cuma, che ebbe una particolare importanza nelle famose imprese (si pensi alla lotta con i Giganti o alle mandrie di Gerione), sia stata uno dei punti di partenza per la diffusione del culto di Ercole nella penisola.
L'eroe assunse in Italia alcune caratteristiche proprie, più o meno differenti da quelle greche, che molte volte si possono spiegare con l'assimilazione con antiche divinità ed immagini religiose italiche; in particolare egli fu dotato di caratteristiche "ctonie", cioè legate alle profondità terrestri, o apportanti fertilità, e anche di alcuni caratteri di divinità protettrice dei traffici, del commercio e del guadagno, del combattere e vincere in guerra; successivamente ebbe anche caratteristiche sepolcrali.
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Il culto si diffuse attraverso i contatti tra coloni greci, Etruschi e Sanniti intorno al VI secolo a.C. in Campania ed è logico supporre che proprio nell'area di Cuma la frequentazione di varie etnie facilitava gli scambi culturali e quindi l'assimilazione di nuove credenze. Non dimentichiamo che attraverso queste frequentazioni prese forma l'alfabeto osco e nacque la scrittura nel Sannio. In seguito il culto si diffuse nelle aree sabelle e quindi sabine, raggiungendo così i Latini e Roma. Come già era avvenuto in Magna Grecia, il culto di Ercole fu spesso collegato con divinità straniere o locali o le sostituì. Un esempio famoso è il culto di Ercole a Gades (Cadice, in Spagna), dove appare collegato al dio Melqart, venerato dai Fenici.
Identità di un Dio.
Herakles nasce in Beozia, ma le origini sono peloponnesiache (la madre e il padre terrestre provenivano da Tirinto in Argolide), da Alcmena e da Zeus, che per concupire la giovane sposa assunse le sembianze del marito Anfitrione, assente per una spedizione. Fin dalla culla il bambino dà prova delle sue doti incredibili, strozzando i serpenti mandati da Era, la moglie divina di Zeus adirata, nella culla di Eracle e del fratellino terrestre Ificle (lo stesso nome Herakles, in greco significa "famoso" o "glorioso per Era").
Fu allevato dai migliori maestri in ogni disciplina eroica (nella lotta, nel tiro con l'arco, nella scherma, nella guida del carro): l'innata intemperanza gli fece uccidere il maestro di lira, Lino, che lo aveva ripreso, per la qual cosa Anfitrione decise di mandarlo a badare alle mandrie sulle montagne. Come pastore, l'eroe assunse clava e arco e, ben presto, si distinse in imprese valorose: a diciotto anni uccise un leone che annientava il bestiame del padre terreno e del re Tespio, fondatore della città di Tespi in Beozia: quest'ultimo, per gratitudine, avrebbe offerto all'eroe le sue cinquanta figlie (secondo una tradizione i nati da questa unione avrebbero colonizzato la Sardegna).
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Tornando da Tespi, Ercole ebbe modo di sconfiggere anche gli Orcomeni e di ricevere come premio da Creonte, re di Tebe, la figlia Megara. Da questa l'eroe ebbe molti figli e visse tranquillo finché Era non lo fece impazzire e, credendo di vedere dei nemici, l'eroe uccise moglie e figli. Tornato in sé, scelse l'esilio e, tormentato dai rimorsi, si recò a Delfi, dove la sacerdotessa Pizia gli ordinò di recarsi a Tirinto e servire per dodici anni il re Euristeo: solo esaudendo gli ordini di quest'ultimo Eracle avrebbe espiato la sua colpa e ottenuto l'immortalità.
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Ercole contro il leone Nemeo. Marcina, IV sec. a.C.
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Nascono così le celebri "dodici fatiche", il dodekathlos (dal greco dodeka, "dodici", e athlos, "gara"). Durante lo svolgimento delle sue "fatiche" l'eroe ebbe modo di cimentarsi in una serie di avventure occasionali (note come parerga) e di azioni eroiche che compì di sua iniziativa (praxeis). Tra queste si ricordano l'avventura con i Centauri, adirati perché l'eroe aveva approfittato dei vino di loro proprietà offertogli dal centauro Folo, gli scontri con vari briganti (quali Cicno, Licaone, Anteo, Alcioneo), l'episodio in Egitto presso Busiride, il re che sacrificava gli stranieri e fu perciò ucciso da Eracle, quello della lotta con Apollo per il tripode. La vita dell'eroe ha una svolta con le nozze con Deianira, figlia di Oineo: quest'ultima ricevette dal centauro Nesso morente un pò del suo sangue misto a veleno delle frecce di Eracle, con cui secondo il centauro la donna avrebbe potuto riconquistare il marito se avesse smesso di amarla. Quando se ne presentò l'occasione, l'ignara Deianira, gelosa di Jole, mandò al marito una tunica intrisa del sangue del centauro, provocando così la morte dell'eroe. Già dal VII secolo a.C., però, era nota la versione del mito per cui la parte immortale dell'eroe era stata accolta nell'Olimpo.
L'iconografia dell'eroe.
Dal punto di vista figurativo, l'Ercole italico non si differenzia molto dal prototipo greco. In ambito etrusco Hercle è collegato spesso a divinità come Turan, Menrva e Uni (Afrodite, Atena ed Hera), delle quali può diventare amante o marito (soprattutto in incisioni su specchi). Con Uni può combattere, apparire unito a lei, succhiare al suo petto (secondo la tradizione che voleva il piccolo Eracle allattato proprio dalla dea)...
In numerosi bronzi d'arte di provenienza sannitica ricorre con gli attributi caratteristici della clava e della pelle di leone, ma a volte anche vestito di corazza. Delle sue imprese si trovano rappresentate tanto quelle del dodekathlos come altre del tutto diverse, quali l'avventura di Esione e quella di Alcesti; raramente la leggenda di Caco. La lotta con il leone Nemeo compare molto spesso sia in raffigurazioni monetali che in decorazioni fittili.
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La rappresentazione di Ercole nella produzione votiva in bronzo in area sabellica.
Raffaela Papi
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Il sorgere di una cultura figurativa locale e, contestualmente, l’accoglimento di Ercole nel pantheon italico, sono strettamente collegati al contatto e alla reazione dei gruppi sabellici con il mondo di superiore civiltà dell’Italia Meridionale e in particolare della Campania. Si tratta di una forma di acculturazione che fu una conseguenza diretta della straordinaria mobilità e del dinamismo che caratterizzano le popolazioni italiche e che indizi sempre più numerosi e prove sempre più significative fanno risalire ad epoche notevolmente antiche. Dati linguistici, epigrafici ed archeologici concorrono a darci un quadro complesso dell’Italia antica in cui interagiscono, in una rete di scambi e di contatti, i ceti sociali emergenti, e nella fattispecie i ceti militari, già nel corso del VII e VI secolo a.C. (1).
Parallelamente alla nascita e allo sviluppo della produzione votiva italica in bronzo, nell’ambito della quale la rappresentazione di Ercole fa, non a caso, la parte del leone, va considerato il fenomeno del mercenariato italico.
All’inizio della produzione si colloca l’attività del maestro Adernò localizzata sulle due sponde dello stretto e collegata alla presenza di mercenari italici in Calabria già nel VI secolo e nella Sicilia Orientale nella prima metà del V, al soldo di Ippocrate di Gela (498-491 a.C.) e poi di Dinomenidi (491-466 a.C.)(2). Non c’è dubbio che il culto ebbe fin dall’inizio carattere spiccatamente militare. Ercole, incarnazione del valore e della forza fisica,
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Guerriero offerente da Villalfonsina.
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fu scelto, a buon diritto, come eroe nazionale dai Sanniti che in lui riconoscevano i propri tratti distintivi.
L’immediato successo di Ercole fu favorito anche dall’assimilazione a qualche divinità locale della quale assommava le caratteristiche. Di grande interesse a questo proposito è un bronzetto al Museo di Benevento (3) proveniente da Castelpagano raffigurante Ercole con clava e leonté, che regge con la mano sinistra un ramo biforcuto piantato a terra come una lancia: l’allusione a Silvano è scoperta (4). Venerato in santuari grandiosi come quello di Sulmona, o in luoghi di sosta la cui sacralità è testimoniata dai depositi votivi (5), come dio delle sorgenti e delle acque salutari, delle greggi e dei pastori, Ercole assume ben presto la funzione di colui che allontana i mali, con una forte valenza profilattica e apotropaica.
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In questa veste attraversa tutta l’età romana fino all’assimilazione in età cristiana con San Michele Arcangelo, che ne eredita l’iconografia canonica di guerriero combattente (6).
La predilezione e l’enorme favore accordato all’eroe dalle popolazioni sabelliche toccarono inizialmente i livelli più alti della gerarchia militare, i cui esponenti a volte compaiono nella veste di guerrieri offerenti (cfr. Villalfonsina inv. n. 14104, Vasto inv. n. 50).
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La qualificazione etnica data dalla corazza a tre dischi assume una valenza ideologica impressionante nel "Marte" del Louvre, "immagine di maschio, soldatesco vigore, giustamente assurta quasi a simbolo di un popolo e di una civiltà" (7).
La più antica immagine del dio restituita dall’area sabellica è il bronzetto di Pietrabbondante "dalle forme sproporzionatissime e allungate" attribuito dal Minervini "alla poca perizia degli artisti sannitici locali".
La matrice culturale che ha prodotto questa importantissima testimonianza è ancora pienamente "picena" e i termini di confronto sono quelli della grande statuaria in pietra. L’enorme allungamento dei volumi apparenta strettamente il bronzetto, attualmente conservato nei magazzini del Museo di Napoli, al torso cosiddetto di Atessa (8).
Sorsero ben presto botteghe locali per rispondere ad una domanda sempre crescente fino a costituire quasi un’attività industriale con centinaia di prodotti simili, privi del tutto di qualità.
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Ercole da Pietrabbondante V secolo a.C.
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Il problema della localizzazione di queste botteghe è di difficilissima soluzione per l’incredibile dispersione che caratterizza già in antico questa classe di materiali.
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Torso di Atessa - VI secolo a.C.
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Si tratta comunque del fenomeno artistico-culturale più vistoso e peculiare del nostro territorio nel periodo che precede la piena romanizzazione, definitivamente conseguita solo con Augusto. Il problema di mettere ordine in questa enorme massa di materiali, pervenuti quasi sempre privi di dati esterni di contesto, è stato affrontato in modo radicale da G. Colonna negli anni ‘70. Nella sua vasta opera di sintesi egli analizza la piccola plastica votiva nel suo svolgimento nel tempo e nello spazio e nel suo rapporto con il contemporaneo atteggiarsi della cultura figurativa greca.
La componente "italica" appare prepotentemente alla ribalta con la serie di Ercoli del maestro "Rapino" ben rappresentati dai nostri esemplari Chieti inv. n. 2099 e Vacri inv. n. 35934.
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La scomposizione geometrica e la disarticolazione della figura, la sproporzione tra le varie parti del corpo con l’accentuazione esasperata della muscolatura delle gambe, tradiscono l’intenzione di pervenire ad una realizzazione che esprima il vigore ed il plasticismo nella costruzione anatomica, coniugati al dinamismo del nudo in assalto. Si tratta di problemi
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Ercole da Palombaro
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dibattuti dagli artisti greci del tardo arcaismo e giunti alla piena consapevolezza con lo stile severo. La produzione italica che da questo momento guarda alle realizzazioni della grande arte greca si agita costantemente tra la tendenza profondamente radicata ed insopprimibile alla semplificazione formale e all’astrazione geometrica e l’aspirazione più o meno scoperta alla razionalità e al naturalismo della cultura artistica greca (9).
Già in questa prima fase emergono personalità d’eccezione, diversissime tra loro e diversamente atteggiate nei confronti dei modelli colti. Nella serie degli Ercoli in assalto il maestro "Rapino" sembra avvezzo a incidere nel legno le sue figure con tagli netti e spigolosi, nel solco di un’arte popolare che richiama gli intagli dei pastori.
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L’opera forse maggiormente rappresentativa dei valori espressivi originali e tipici della sensibilità italica è lo straordinario Ercole combattente trovato a Posada, presso Olbia e conservato al Museo di Cagliari, realizzato intorno alla metà del V secolo a.C. e portato in Sardegna da qualche capo mercenario di origine sabellica, arruolato da Cartagine (10).
Un tentativo scoperto di adesione ai moduli stilistici e alla ricerca formale dello stile severo caratterizza invece l’Ercole combattente di Sulmona di notevolissimo livello qualitativo (11).
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Presenta una colta iconografia di Ercole, riconducibile all’arcaismo greco (12), accolta con grande favore nell’ambiente italico e utilizzata fino al tardo ellenismo (gruppo Caramanico) e anche oltre, ripetuta anche in esemplari di qualità modestissima come i nostri Palombaro inv. n. 60 e Bucchianico inv. n. 2393. L’eroe, giovane e imberbe, come lo preferiscono gli Italici, indossa la pelle del leone con le fauci spalancate, la protome calzata sulla testa come un elmo o un cappuccio. Due lembi appuntiti della pelle si dispongono ai lati del collo, il resto copre le spalle come un mantello elegantemente drappeggiato sul dorso e ricade in avanti con le due zampe posteriori passando sul braccio sinistro. Le zampe anteriori sono annodate sul petto a formare un doppio "nodo erculeo". Il trattamento raffinato del volto rivela un cesellatore di grande sensibilità ed esperienza, con un risultato di gusto severo straordinario in una realizzazione di queste dimensioni (cm. 15.5).
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Ercole da Bucchianico
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Ma è l’atteggiarsi della figura nello spazio che rivela in pieno la cultura dell’artista. Il polo di attrazione è costituito dal gesto delle braccia al quale è completamente affidato il compito di rendere l’energia cinetica dello scatto. Il destro si piega verso l’alto ostentando i muscoli poderosi mentre il braccio sinistro scatta lateralmente a sfondare lo spazio (13). Il maestro però non riesce ad aderire pienamente e compiutamente all’ideale ellenico e tradisce la sua matrice italica nell’attacco incongruo della gamba sinistra. Si tratta di una debolezza ricorrente nella produzione sabellica.
Tra le convenzioni stilistiche riconducibili al gusto severo va considerata la resa dell’acconciatura, che appare come una calotta più o meno aderente al cranio solcata da incisioni radiali che partono dalla sommità, a volte allungata sul retro fino a coprire la nuca e rigonfia ai margini. Nell’ambito della produzione di massa, per lo più schematica e frettolosa, nella quale l’intervento a freddo è preponderante, si adotta questo tipo di rappresentazione ancora in età ellenistica, per la facilità di esecuzione.
Un notevole esempio del momento policleteo è rappresentato dal nostro Schiavi inv. n. 20135. L’accurata lavorazione dell’acconciatura è uno scoperto richiamo alle pettinature tipiche del grande scultore a brevi ciocche curve e ordinate. Contestualmente la ricerca anatomica e il rapporto del nudo con lo spazio tentano di adeguarsi ai nuovi stimoli. In seguito all’opera di Lisippo gli artigiani sabellici sembrano esprimere il meglio di sé. A questa fase, chiamata da Colonna dello stile "bello", va ascritto il nostro Vacri inv. n. 15771. Questo esemplare presenta una nuova tipologia di Ercole, non più in assalto ma in riposo, che mostra nella mano sinistra protesa i pomi delle Esperidi.
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Ercole da Vacri (CH)
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Ercole da Schiavi d'Abruzzo (CH)
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Il riferimento all’ultima fatica dell’eroe, visto ormai alla fine del suo percorso terreno, sottintende una scelta ideologica e religiosa alquanto lontana dalla mentalità sabellica. Questa non rinuncia all’immagine bellicosa del dio in assalto e la contamina con quella del portatore dei pomi nei più tardi e correnti esemplari del gruppo "Caramanico".
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Ercole Curino da Sulmona
Chieti, Museo Archeologico Nazionale
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La produzione di massa ripropone con tenace perseveranza tipologie e stilemi desueti spesso contaminando tra loro varie tendenze. Quel che interessa il devoto italico non è tanto l’aspetto realistico della rappresentazione ma la possibilità di evocare, mediante gli attributi, determinati valori simbolici. Una spia del mutare del gusto è l’introduzione della pettinatura a ciocche scomposte e mosse "all’Alessandro" che gli artigiani locali adottano senza trascurare di sfoggiare la propria cultura nella trattazione del vello, dove trovavano il campo per esprimere le proprie capacità tecniche.
Nonostante la presenza nel territorio di un originale greco di livello eccezionale come quello di Lisippo nel santuario di Sulmona, la tipologia dell’Ercole barbato in riposo non sembra si sia affermato nell’ambiente sabellico se non in età romana.
Evidentemente l’aspetto giovanile del dio rivestiva un profondo ed irrinunciabile significato nell’ideologia
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guerriera degli Italici che, certamente non a caso, immaginavano allo stesso modo la figura di Giove, come è stato dimostrato da studi recenti (14) e dal bellissimo esemplare di Atessa (15).
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Il testo di Raffaela Papi è tratto da "I Luoghi degli Dei - Sacro e natura nell'Abruzzo italico"
A cura della Soprintendenza archeologica dell'Abruzzo - Provincia di Chieti - 1997
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NOTE
(1) COLONNA 1980-81, 175 ss.; PONDRANDOLFO 1987, 55 ss.; CAMPANILE 1991; PAPI 1996.
(2) COLONNA 1970.
(3) GALASSO 1983, n. 23
(4) PAPI 1991.
(5) Sulmona: Dalla Villa di Ovidio 1989; Castelvecchio Subequo: BENDINELLI 1921, 284 ss.; Carsoli: CEDERNA 1951, 169 ss.; Caramanico: PAPI 1993.
(6) In località San Tommaso di Caramanico, nel sito del rinvenimento del deposito di bronzetti si è verificata una suggestiva persistenza di culto: nella bella chiesa medioevale l’altare maggiore ingloba un pozzo sacro a cui si accede per attingere acqua sorgiva alla quale si attribuiscono ancora oggi qualità taumaturgiche: in proposito PAPI 1993.
(7) COLONNA 1970, n. 402.
(8) COLONNA 1977.
(9) BIANCHI BANDINELLI 1950, 124 ss.
(10) COLONNA 1970, n. 347.
(11) Dalla Villa di Ovidi o 1989, 79ss.
(12) ZANCANI 1947, 207ss.
(13) Dalla Villa di Ovidio 1989, 79ss.
(14) SANZI DI MINO 1994, 56.
(15) FABBRICOTTI 1984-85, 2llss.
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Piccola vetrina di
bronzetti d'Ercole
ritrovati in area sannitica.
Altezza media cm.22
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In assalto da Ortona (CH)
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In assalto da Villalfonsina (CH)
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In assalto da Scerni (CH)
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In assalto da Orsogna (CH)
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In assalto da Monteodorisio (CH)
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In assalto da Crecchio (CH)
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In assalto da Cupello (CH)
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Stante da Tufillo (CH)
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In assalto da Chieti
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In assalto da Baranello (CB)
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In assalto da Caramanico (CH)
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In assalto da Caramanico (CH)
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In assalto da Carsoli (CH)
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Offerente da Carsoli (CH)
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In assalto da Monte Vairano (CB)
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In assalto da Monte Vairano (CB)
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Stante da San Biase (CB)
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In assalto da Ripalimosani (CB)
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Tronco da Mennella (IS)
Foto Franco Valente
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In assalto da Macchia d'Isernia (IS)
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Stante da Casacalenda (CB)
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Stante da Casacalenda (CB)
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Stante da Casacalenda (CB)
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In assalto da Campodipietra (CB)
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In assalto da Trivento (CB)
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Stante da Trivento (CB)
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In assalto da Agnone (IS)
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In assalto da Agnone (IS)
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In assalto da Montenero di Bisaccia (CB)
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In assalto da Larino (CB)
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In assalto da Pietrabbondante (IS)
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In assalto da Pietrabbondante (IS)
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In assalto da Pietrabbondante (IS)
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Stante da Pietrabbondante (IS)
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In assalto da Pietrabbondante (IS)
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Bibax da Pietrabbondante (IS)
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Con base da Venafro (IS)
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In assalto da Venafro (IS)
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In assalto da Rionero Sannitico (IS)
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In assalto
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Leontè da Campochiaro (CB)
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Leontè da Trivento (CB)
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Storia dei Sanniti e del Sannio - Davide Monaco - Isernia
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