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Adriano La Regina - Iscrizione osca rinvenuta a Castel di Sangro.
SANNITI

 

ISCRIZIONE OSCA RINVENUTA A
CASTEL DI SANGRO


Adriano La Regina

 


Iscrizione osca da Castel di Sangro
 
Una nuova iscrizione di Castel di Sangro, recuperata per il fattivo interessamento di Ezio Mattiocco, viene ad accrescere le conoscenze sul patrimonio lessicale della lingua osca, sullo status dei liberti nell'ordinamento della societŕ sannitica, sulla formula onomastica che li distingueva, e infine anche sul carattere dell'insediamento che a Castel di Sangro ha preceduto la costituzione del municipio di Aufidena. Le circostanze del ritrovamento, non regolarmente segnalato, hanno impedito di acquisire informazioni puntuali sul contesto archeologico del documento, immesso nei primi giorni di agosto deI 2009 nel Museo Aufidenate, ex Convento della Maddalena, ove ho potuto esaminarlo nei giorni 6 e 19 dello stesso mese (1).
Il testo inciso su un blocco di pietra calcarea alto cm 55,8 x cm 65 di base, con spessore di cm 41,5 e doveva estendersi anche sul blocco contiguo alla sua sinistra. Le lettere sono alte cm 4,8 / 5,1. La scrittura corre su sette righe tra leggere linee di guida tracciate in modo da delimitare una fascia di cm 5,1.
L'iscrizione, retrograda e in lettere dell'alfabeto sannitico, non ha un campo appositamente definito; la pietra su cui č incisa aveva fatto parte di una costruzione la cui superficie era decorata con riquadri rilevati di circa tre millimetri, alti cm 54 x 44,5 di base. Il testo si estendeva quindi su due di questi riquadri e sulla fascia ribassata che li separava, ampia cm 3.
Ciň significa che l'incisione non era stata prevista in quella posizione durante la costruzione dell'edificio a cui apparteneva. Anche l'impaginazione del testo presenta qualche anomalia, perchč le prime cinque righe avevano un'estensione omogenea, sviluppandosi sull'intera larghezza di due riquadri rilevati, mentre la penultima si interrompe alla fine del primo riquadro. Probabilmente la superficie del riquadro adiacente era in parte occupata da qualcos'altro, forse da una decorazione scolpita.
 
Catastale del centro urbano di Castel di Sangro (*)
Le lettere sono incise con eleganza, e appartengono alla fase piů evoluta dell'alfabeto sannitico, con la /í/ e la /ú/ regolarmente munite del segno diacritico, e con la /s/ arrotondata. Le parole sono separate da punti triangolari. Il documento deve essere attribuito ad un momento molto avanzato del II secolo a.C., se non agli inizi del I, non solo in base ad elementi paleografici, ma anche in considerazione delle formule onomastiche adottate.

 

 
 
 
 
 
5.
 
 
 
lúvkiúí · íním · g[
ívúí · gaavieís · ne[
úpstúst · úviíú[
herilím · pím · pú[
tens · pústí · pu[
ekík · angítúst
avzsed

 

Il testo non era preceduto da altre linee di scrittura; č integro sul lato destro e incompleto sulla parte opposta, inversamente da quanto appare nella trascrizione essendo l'iscrizione sinistrorsa. L'estensione delle parti mancanti č determinabile mediante elementi interni al testo stesso, di
cui č possibile riconoscere la struttura e intendere genericamente il significato.
E' infatti da escludere che la scrittura potesse iniziare su un blocco superiore con il nome di un personaggio in caso nominativo, non tanto perché lo spazio libero che precede in alto la prima riga ha la stessa altezza degli spazi interlineari, ma soprattutto perché non lo consente la struttura testuale. Questa viene chiarita dalla presenza di quattro verbi, dei quali tre sono in terza persona singolare ed uno in terza plurale. Il soggetto dei verbi al singolare č il nominativo femminile úviíú, alla terza riga, mentre il soggetto del verbo al plurale č un prenome riferibile alle tre persone indicate all'inizio in caso dativo.
 
Restituzione grafica dell'iscrizione.
   lúvkiúí · íním · g[...]/ivúí · gaavieís · ne[...]: prenome maschile in dativo seguito dalla congiunzione íním; della parola successiva resta solamente la lettera iniziale, g[...], dopo la quale si distingue sul bordo di frattura della pietra un segno verticale che potrebbe appartenere a una lettera come a oppure n. Sarebbe pertanto possibile l'integrazione g[na]/ivúí in collegamento con le lettere che compaiono all'inizio della seconda riga: in tal caso avremmo lúvkiúí · íním · g[na]/ivúí. Ne risulterebbe che la parte mancante di tutto il testo non dovrebbe mediamente superare le due lettere e che ne[...] potrebbe essere solamente la particella negativa nei. Questa ricostruzione troverebbe tuttavia ostacolo nell'impossibilitŕ di restituire al testo stesso una struttura come quella seguente:
lúvkiúí · íním · g[na] / ivúí · gaavieís · ne[i] / úpstúst · úviíú[.2.] / herilím · pím · pú[.1-2.] / tens · pústí · pu[n] / ekík · angítúst / avzsed.
Evidenti sono, in questa ipotetica ricostruzione, la mancanza di senso nel verbo úpstúst, che sarebbe preceduto dalla negazione ne[i], e l'uso di herilím come sostantivo, quale pure esso potrebbe essere ma che non avrebbe in tal caso alcun significato. Altro ostacolo deriverebbe dall'integrazione della seconda riga: gaavieís, che potrebbe essere sia un prenome sia un gentilizio, non č preceduto da un prenome in genitivo ed č quindi qui presente come prenome; esso presuppone pertanto un nomen, di cui restano le prime due lettere ne[...], ma non vi sarebbe spazio per la restante parte della parola. Per consentirne dunque l'integrazione, per esempio, ne[raatieís], vel similia, occorre riconoscere la caduta di un terzo prenome in dativo tra la prima e la seconda riga: lúvkiúí · íním · g[aaviúí · íním · g[na]/ivúí, Lucio et Gavio et Cnaeo; vi č tuttavia la possibilitŕ che il secondo individuo abbia il prenome Gaius invece di Gavius. Inserendo dopo i nomi un termine osco corrispondente al latino libertis, e indico qui solamente exempli gratia *lúvfír(túís?), le prime due righe assumono una struttura regolare:


 
lúvkiúí · íním · g[aaviúí · íním · gna]
ivúí · gaavieís · ne[raatieís · - - - - - -]
 
Lucio et G[avio et Cna]-
eo Gavii Ne[ratii libertis]


L'integrazione ne[raatieís], qui posta a titolo di esempio, č a mio avviso non solo possibile ma anche probabile, considerata la raritŕ dei nomi che iniziano con ne[]. Il gentilizio Neratius, particolarmente diffuso a Saepinum, in etŕ tardo repubblicana č documentato anche ad Aesernia.
Abbiamo cosě la denominazione di tre individui che non sono schiavi, visto che adottano prenomi di persone libere, e comunque non usano una formula onomastica servile; d'altra parte non sono ingenui essendo privi di nomina gentilicia. Č invece del tutto evidente che essi sono liberti, come viene del resto confermato da quanto segue nel testo. Sulla formula onomastica delle persone di condizione libertina mi soffermerň piů avanti, ma segnalo fin d'ora che liberti con il prenome diverso da quello del patronus, come č qui nel caso di Lúvkis e di Gnaívs, compaiono anche nella documentazione latina di epoca repubblicana.
   úpstúst: fecerat, forma non documentata del verbo "Fare" (2); insieme con angítúst della riga 6 attesta finalmente in osco il piuccheperfetto attivo nella terza persona singolare la cui forma, come in latino, non si distingue da quella del futuro anteriore (3); altre attestazioni di futuro anteriore sono nel nuovo frammento da Roccagloriosa (4).
   úviíú[...]: Ovia, nom. sing. femm. del gentilizio úviís. E' il soggetto principale del testo, da cui dipendono i verbi úpstúst, angítúst e avzsed. Il nome femminile poteva essere indicato semplicemente dal gentilizio, úviíú. Lo spazio residuo non escluderebbe la notazione di un altro elemento della formula onomastica, che in questo caso dovrebbe essere senza abbreviazioni, del tipo Ovia Cai filia. Un'altra possibilitŕ potrebbe essere quella del gentilizio seguito dal nomen del marito in caso genitivo, come Ovia Neratii (uxor), oppure in forma aggettivale come Ovia Neratia. La lacuna doveva perň comprendere anche l'oggetto, un sostantivo maschile sing. qualificato dall'aggettivo herilím. Ciň comporta che per il nome della donna sia stata usata la formula con solo il gentilizio o al massimo con il gentilizio seguito da un patronimico breve.
   herilím: le prime tre léttere sono incise su rasura, di certo per correggere qualche errore; la terza lettera, r, si sovrappone infatti a un segno rettilineo leggermente obliquo esorbitante in alto dalla linea di scrittura. Č del tutto probabile che herilím, accusativo sing., sia un aggettivo: ne conosciamo la corrispondente forma latina derivata da erus -i "padrone", ben attestata in epoca repubblicana, herilis -e / erilis -e, "padronale", "del padrone" (5). Il contesto rende evidente il significato dell'oggetto, il sostantivo con cui si accordava herilím, alla riga 3: "sepolcro", "monumento funerario", "tumulo". Si tratta infatti della sepoltura provvisoria assicurata ai tre liberti nel monumento funerano del loro patronus, in attesa di quella definitiva in apposita costruzione. Ferma restando l'impossibilitŕ di ipotizzare la forma osca del termine, esso puň essere reso in latino con tumulus, a preferenza degli altri sopra indicati, per rispettare il genere maschile di herilím, rivelato dal seguente prenome relativo pím, quem.
   pú[stí]: come nella riga seguente ha qui valore temporale, postea.
   [iússu ...] tens: terza persona plurale di un perfetto, che doveva avere per soggetto il pronome iússu, riferito ai tre liberti, iidem tenuerunt, vel similia. Significa che i loro resti effettivamente occuparono il sepolcro assegnato provvisoriamente.
   pústí pu[n]: postea cum. Della lettera che segue pu[ si riconosce una sottile traccia del primo tratto verticale, al di sotto di una profonda escoriazione che ha cancellato ogni altro segno inciso sul secondo riquadro rilevato della superficie lapidea. L'integrazione pu[n], cum, quando, č sicura.
   [...] ekík: [sepulchrum] hoc, il dimostrativo, di certo accordato con il sostantivo perduto, indica come oggetto la cosa su cui č incisa l'iscrizione, quindi il sepolcro.
   angítúst: statuerat, piuccheperfetto indicativo, terza persona sing. La forma verbale era giŕ nota in scrittura con alfabeto latino come futuro anteriore (6) v. sopra a proposito di úpstúst. Il testo si interrompe alla fine dello spazio occupato dal riquadro a rilievo per continuare sulla riga successiva.
   [...] avzsed: tribuit, addixit, o qualcosa di simile; terza persona singolare del perfetto indicativo di un verbo di morfologia non evidente. Il contesto rivela che il verbo indica l'assegnazione del nuovo sepolcro ai liberti. Traduco genericamente "attribuě".
Trascrivo quindi il frammento con le integrazioni, ponendo in corsivo quella ipotetica del gentilizio nella seconda riga. La traduzione latina reca anche le integrazioni necessarie per ricomporre la struttura testuale e per comprenderne il significato:


 
 
 
 
 
5.
 
 
 
lúvkiúí · íním · g[aaviúí · íním · gna]
ivúí · gaavieís · ne[raatieís · - - - - -]
úpstúst · úviíú[· - - - - - - - - - - - - ]
herilím · pím · pú[sti · iússu - - - - ]
tens · pústí · pu[n - - - - - - - - - - -]
ekík · angítúst (vacat)
avzsed (vacat)
 
Lucio, Gavio, Cna-
eo Gavii Ne[ratii libertis]
fecerat Ovia [..?.. tumulunm]
herilem, quem postea [iidem tenue-
runt]; postea cum [sepulchrum]
hoc statuerat,
tribuit.


I1 testo si articola in due periodi. Il primo comprende una proposizione principale con il soggetto úviíú (Ovia) e il verbo úpstúst (fecerat), seguita da una proposizione relativa introdotta da pím (quem) con soggetto plurale, un prenome come iússu (iidem) e il verbo [...]tens. Il secondo periodo ha la proposizione principale con il verbo avzsed e con il soggetto sottinteso, sempre Ovia, e la dipendente temporale introdotta da pu[n] (cum), con il verbo angítúst (statueuat).
Il testo era stato dunque inciso sul sepolcro definitivo dei tre liberti, fatto costruire da Ovia, probabilmente la moglie di C. Ne[ratius?], il loro patronus, e dominus prima della liberazione. Non era certamente questa l'iscrizione principale del sepolcro, trattandosi di un testo dal carattere esplicativo fatto incidere su una superficie non appositamente predisposta. Il monumento dei liberti di C. Ne[ratius?] avrŕ dunque avuto un titolo principale inciso in posizione di maggiore evidenza secondo gli usuali criteri dell'architettura funeraria.
Struttura e senso complessivo del documento sono dunque chiariti, e in tale contesto potranno trovare soluzione i problemi che restano aperti riguardo alla morfologia e al significato preciso del verbo avzsed, qui attestato per la prima volta. Sotto il profilo lessicale l'iscrizione ci restituisce anche la forma verbale úpstúst e l'aggettivo herilím. Con úpstúst e angítúst compare infine in osco il piuccheperfetto, sinora ipotizzato ma non documentato.

* * *

Non vi era, prima della comparsa di questa iscrizione, alcuna esplicita attestazione di liberti in lingua osca con formula onomastica costituita dal prenome + prenome e gentilizio del patronus in caso genitivo + termine corrispondente a libertus, documentata per l'etrusco (7). Nella sequenza Lucius, Gavius, Cnaeus Gavii Neratii liberti abbiamo infatti lo schema corrispondente a Lucius Gavii Neratii libertus, adottato qui nella versione plurale con i nomi degli altri due liberti, Gavius e Cnaeus. Lo schema si contrappone all'uso latino, consolidatosi a partire dagli inizi del I sec. a.C., con la formula: prenome e gentlizio uguale a quello del patrono + prenome del patrono in caso genitivo + l(ibertus), es. Lucius Neratius L(uci) l(ibertus).
Questo sistema ha tuttavia in epoca repubblicana una serie assai ampia di varianti (8). Alcune iscrizioni latino-peligne ricalcano un'altra formulazione latina piů antica: prenome diverso da quello del patrono + gentilizio del patrono al nominativo + prenome del patrono al genitivo + l(ibertus): es. Min. Rufries Ov.l.(9), oppure Ter. Loucia L. l. (10).
E' quindi ben probabile che anche in osco esistessero per i liberti diverse formule onomastiche; con questa iscrizione ne abbiamo una prima attestazione. La forma del temine osco corrispondente a libertus puň essere solo ipoteticamente immaginata considerando che liberus č in alfabeto latino loufir, nom. sing. (11), e in alfabeto sannitico lúvfreís, gen. sing. (12).
Anche il sistema onomastico femminile osco si discosta in parte da quello latino. Per le donne ingenue sono documentati i seguenti schemi, ciascuno dei quali č qui rappresentato da un solo esempio tratto dal nucleo delle iscrizioni peligne, le quali piů frequentemente menzionano soggetti femminili:


 
A.   Ania: nomen (13);
B.   Prismu Petiedu (= Prima Petiedia): praenomen + nomen (14);
C.   Saluta Scaifia V.: praen. + nomen + praen. paternum (15);
D.   Tettia Sa.: nomen + praen. paternum (16);
E.   Ovia Pacia: nomen + nomen maritale (17).


Il soggetto femminile della nuova iscrizione di Castel di Sangro rientra quasi sicuramente nello schema con il solo gentilizio (A), anche se non č da escludere che vi fosse la notazione di un nomen maritale breve dopo quello proprio della donna, come nel caso di Ovia Pacia (E). Vi č inoltre, in ambito sannitico, un testo che si presta a diverse interpretazioni menzionando una Marahieis Upfalliu (18), ossia Ofellia Maraei, lasciando non specificato il ruolo: uxor / serva?
A favore della prima ipotesi, secondo la quale si avrebbe il prenome maritale in genitivo di appartenenza + il gentilizio della donna, sta soprattutto l'esistenza di un gentilizio latino Ofellius, Ofillius nella stessa area geografica. Upfals, -lleís č perň ben attestato in osco come prenome (19), e questo rende possibile anche la seconda ipotesi, Ofellia Maraei (serva), ove Ofellia sarebbe il nome servile, desunto dal prenome, e non il gentilizio. A sostegno di questa interpretazione verrebbe l'iscrizione su tegola di Pietrabbondante (20), ove due schiave dello stesso personaggio si firmano l'una in osco Hn. Sattiieís Detfri, prenome e nomen del padrone in genitivo, seguito da un nome servile, e l'altra in latino, Herenneis Amica: la prima usa una denominazione formale, la seconda una piů colloquiale indicando la propria appartenenza mediante il prenome del dominus: il genitivo Herenneis invece di Herenni rivela che la formula onomastica ufficiale di Amica era in osco e non in latino.

* * *

Il nuovo documento contribuisce a definire il carattere dell'insediamento sannitico a Castel di Sangro prima della creazione del municipio di Aufidena. Esso dimostra infatti che nel corso del II secolo a.C. l'abitato aveva giŕ assunto uno sviluppo tale da richiedere la costruzione di monumenti funerari lungo le strade esterne. L'iscrizione aveva fatto parte del sepolcro di alcuni liberti; il mausoleo padronale (herilím) si trovava di certo nelle immediate vicinanze.


Epigrafe osca Vetter 141 da Castel di Sangro

Iscrizione in osco da Castel di Sangro (Vetter 141)



A Castel di Sangro si era trovata in passato anche un'altra iscrizione in lingua osca, anch'essa del II secolo a.C., incompleta e in parte difficilmente leggibile. L'interpretazione, nei limiti consentiti dalla frammentarietŕ del documento, č stata ostacolata da trascrizioni imperfette, spinte oltre il lecito ove la superficie lapidea č meno conservata (21).
Trascrivo qui il testo basato su osservazioni ripetutamente eseguite sulla pietra nel corso degli anni '60 -'80, per l'ultima volta nella vecchia collocazione il 24 Agosto 1988, ed infine durante il mese di agosto del 2009 nel locale museo, nel Convento della Maddalena, ove si trova esposta:


 
]pettiúr · ekík · pú[
]súl · prúfass · - - - -[
]númneís · sta[


Le ultime due lettere della prima riga e l'ultima della terza, qui riportate, sono state lette per la prima volta da De Benedittis; non convengo invece sulla sua trascrizione prúfass · súl · m nella seconda riga: segni casuali che non possono considerarsi coerenti con la spaziatura e con le dimensioni della scrittura sono stati intesi come tracce di lettere. Anche nella trascrizione di Rix tracce indecifrabili e casuali sono intese come lettere certe o probabili (22).
L'interesse di questo testo, che nel suo pieno significato resta oscuro, risiede nella parola incompleta [ ]súl, la cui integrazione [kú]súl non presenta ragionevoli alternative.
Il termine, corrispondente a consul, nella forma osca ricalca quella del latino di etŕ repubblicana, cosol, ed č comparso a Pompei in una dedica di statua da parte di Lucio Mummio, l · mummis · l · kúsúl (23).
Questa ha mostrato non solo che i magistrati dello stato romano all'occorrenza svolgevano in veste ufficiale attivitŕ evergetica presso i socii italici, ma anche che in tali occasioni essi si presentavano, in documenti redatti nella lingua locale, con la semplice indicazione della magistratura romana.
 
Restituzione grafica dell'iscrizione Vetter 141.
L'iscrizione di Castel di Sangro documenta dunque, a mio avviso, un interesse romano nei confronti della comunitŕ aufidenate; ciň deve aver indotto un magistrato, non identificabile, a fare/donare/recare qualcosa; prúfass č accusativo femm. plurale.
Agli anni in cui si organizzano i municipi dei territori sannitici, nell'etŕ di Cesare, appartiene un'iscrizione latina di Castel di Sangro che menziona i prefetti M. Caecilius L.f. e L. Atilius L.f., i quali avevano curato la costruzione di un ponte, evidentemente per l'attraversamento del Sangro (24). L'opera doveva rientrare nel piů complesso compito, affidato a due praefecti operi faciundo, di munire la via pubblica che da Corfinium conduceva ad Aesernia passando per Castel di Sangro, ove si veniva costituendo il municipio di Aufidena (25). Appare dunque evidente, dal complesso della documentazione epigrafica osca e latina, che nel corso del II sec. a.C. l'insediamento aufidenate stava giŕ assumendo notevole consistenza nell'ambito della comunitŕ dei Samnites Pentri.
Riguardo alla questione dell'ingresso del territorio di Aufidena nello Stato romano prima della guerra sociale, il nuovo testo, essendo scritto in lingua osca, reca un argomento contrario alla possibilitŕ che verso la fine del II secolo a.C. la cittŕ fosse sede di una praefectura (26). Anche l'interpretazione che ho qui dato dell'iscrizione giŕ nota, nella quale a mio avviso era menzionato un console, non adduce alcun elemento a favore della prefettura, sia perché abbiamo l'esempio di Pompei, sia perché un magistrato romano non avrebbe fatto redigere in osco un documento da rendere pubblico in una localitŕ appartenente allo Stato romano. Se si considera inoltre che nel territorio aufidenate non compaiono caratteri di precoce latinizzazione nella documentazione scritta, come avviene invece negli ambienti vestini, non vi č piů motivo per mettere in dubbio l'appartenenza di Aufidena allo Stato sannitico dei Pentri fino alla conclusione della guerra sociale.

 



Il testo e le immagini sono state gentilmente concesse dall'autore.
Il saggio č stato pubblicato su:
Frammenti del passato
Archeologia e Archivistica
tra Castel di Sangro e Sulmona

A cura di Ezio Mattiocco
Editrice Itinerari
Lanciano 2010


 

 


NOTE


(*) Dettagli della mappa catastale del centro urbano di Castel di Sangro con indicati i siti in cui sono state rinvenute le iscrizioni osche: il tondo n. 1 indica il ritrovamento del 1931, il n. 2 la seconda giacitura dell'iscrizione recente, venuta probabilmente alla luce in Via dell'Arcipretura (tondo nel riquadro).

(1) Sulle circostanze del rinvenimento si veda in questo stesso volume il contributo di Ezio Mattiocco, direttore del Museo Aufidenate, a cui devo la tempestiva segnalazione della nuova iscrizione; oltre che a lui sono grato anche alla Soprintendenza ai Beni Archeologici dell'Abruzzo, e in particolare alla Dott.sa Rosanna Tuteri responsabile di zona, per avermi affidato l'incarico di questa prima edizione del documento.

(2) J. UNTERMANWN, Worterbuch des Oskisch-Unzbrischen, Heidelberg 2000, s.v. upsannum.

(3) Sulla questione vd. R. VON PLANTA, Garmmatik der oskisch-urnbrischen Dialekte, I-II, Strassburg. 1893-1897,II, pp. 284, 371.

(4) H. Rix, Sabellische Texte, Heidelberg 2002, p. 125, n. Lu 62.

(5) PLAUTUS, Miles gloriosus 458.

(6) Tabula Bantina, I , 20 nella 3a pl., angetuzet, e ricostruita nelia 3a sing., ibidem, I 2, angitu[st].

(7) H. RIX, Die Termini der Unfreiheit in den Sprachen Alt-Italiens, "Forschungen zur antiken Sklaverei" XXV, Stuttgart 1994, pp. 102 S .

(8) ILLRP, II 488 s.

(9) E. VETTER, Handbuck der italischen Dialekte, I, Heidelberg 1953, n. 215m; RIX 2002, p. 76, n. Pg 47.

(10) VETTER, n. 215 o; RIX 2002, p. 76, n. Pg 54.

(11) RIX 2002, p. 124 Tabula Bantina 8; p. 74, n. Pg 11.

(12) RIX 2002, p. 79, n. Fr 5.

(13) RIX 2002, p. 74, n. Pg 15.

(14) VETTER, n. 213; RIX 2002, p. 73, n. Pg 9.

(15) VETTER, n. 211; RIX 2002, p. 74, n. Pg 13.

(16) VETTER, n. 205; RIX 2002, p. 74, n. Pg 16.

(17) VETTER, n. 203; RIX 2002, p. 73, n. Pg 4.

(18) G. DE BENEDITTIS, in "Studi Etruschi", 69 (2003), pp. 406-409.

(19) RIX 2002, p. 143.

(20) RIX 2002, p. 86, n. Sa 35.

(21) VETTER, n. 141; con correzioni G. DE BENEDITTIiS, in "Studi Etruschi", 58 (1993), pp. 352-354; ID., Le iscrizioni sannitiche dell'alta valle del Sangro, in "Segni sulla pietra", a cura di E. Mattiocco, Lanciano, Editrice Itinerari, pp. 12-15; Rix 2002, p. 84, n. Sa 17.

(22) Rix legge nella prima riga diú dopo ekík, nella seconda prúftas invece di prúffas, e nell'ultima stai[-?-] invece di sta[...].

(23) A. MARTELLI, Per una nuova lettura dell'iscrizione Vetter 61 nel contesto del santuario di Apollo a Pompei, in "Eutopia", n.s. II, 2, pp. 71-81, a p. 71ss; ID. in "Studi Etruschi", 69 (2003), pp. 403 ss.

(24) CIL 1˛ 1759, ILLRP 552; sulla posizione del ponte e sui percorsi stradali della zona vd. E. MATTIOCCO, Una perduta iscrizione e il ponte romano sul fiume Sangro, in "Segni sulla pietra" cit. a nota 21, pp. 75-104.

(25) CIL IX 2801, 2803.

(26) Sulla questione vd. FIRPO, in M.BUONOCORE - G.FIRPO, Fonti latine e greche per la storia dell'Abruzzo antico, I, "Documenti per la Storia d'Abruzzo" (Dep. Abr. Storia Patria), 10, 1991, pp. 541 ss.


 

 

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Storia dei Sanniti e del Sannio - Davide Monaco - Isernia
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