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Storia dei Sanniti - La dea di Rapino.
SANNITI

 

LA GROTTA DEL COLLE DI RAPINO
Vincenzo d'Ercole - Vincenza Orfanelli - Paola Riccitelli

 

La Grotta del Colle è una cavità naturale aperta sul versante nord-orientale della Maiella (in provincia di Chieti), a quota 550 mt. slm, in località Costa Le Solagne. Oltrepassato un grande arco di roccia, largo oltre 15 mt., che ne costituisce l'ingresso, si accede a una ampia sala irregolarmente rettangolare, di 40 x 60 mt., alta tra i 4 e i 12 mt., con piano pavimentale attualmente inclinato verso il fondo della grotta.
Un cunicolo, a quota più alta del piano, si apre sulla destra dell'ingresso. Nella cavità è ancora attivo il fenomeno dello stillicidio delle acque, a cui si deve la formazione di numerose stalattiti e forse anche il distacco dalla volta di grossi blocchi, che attualmente ingombrano la zona centrale.
Le emergenze archeologiche visibili riguardano il piccolo edificio sacro che sorge all'ingresso della cavità, parzialmente al suo interno, su una preesistente struttura tradizionalmente nota come "tempio italico". La piccola chiesa, sede forse già in età longobarda di un culto rupestre dedicato a Sant'Angelo, nel medioevo rientrò nelle pertinenze del monastero di San Salvatore a Maiella; in seguito è denominata Santa Maria in Cryptis.
Le indagini archeologiche a più riprese condotte nel sito (1) hanno verificato la continuità di frequentazione della grotta dal Paleolitico superiore (scavi Radmilli) fino almeno alla piena età medievale (scavi Annibaldi).
Mentre per le fasi più antiche (Paleolitico - Neolitico - Eneolitico - Bronzo) la destinazione d'uso non è evidente, la valenza cultuale della grotta è sicuramente documentata a partire dall'età arcaica (2), alla quale è da riferire la celebre statuetta femminile bronzea nota come "Dea di Rapino", e interpretata dal Galli come dea Cerfia. Con l'età ellenistica la funzione religiosa del sito è più evidente, come testimonia la massiccia presenza di materiale votivo (per lo più ex voto fittili) e soprattutto la "Tabula Rapinensis", una piccola lamina di bronzo di ca. 15x15 cm, su cui è incisa una iscrizione in dialetto marrucino (3).
  La dea, detta anche vergine, di Rapino
La dea di Rapino
Bronzo - Museo Nazionale di Chieti
Si tratta di una legge sacra riguardante il culto di Giove e Giovia (quest'ultima coincidente con la dea Cerfia), a cui è connessa la pratica del sacro meretricio (4). Nel testo, oltre alle prescrizioni rituali, si fa menzione, della "Touta Marouca", cioè del popolo dei Marrucini, e della "ocre Tarincria", identificata nel vicino insediamento fortificato di Civita Danzica. Un ulteriore riferimento al culto di Giove sembra costituito dalla gemma con raffigurazione di Zeus in trono, rinvenuta nelle immediate vicinanze della grotta. La fondamentale testimonianza
La Tabula Rapinensis

La Tabula Rapinensis.
Bronzo - Mosca, Museo Puskin.
 
epigrafica della Tabula Rapinensis, la continuità di frequentazione a scopo cultuale e la stessa collocazione topografica del sito, punto di riferimento e di avvistamento del territorio, concorrono ad identificare nella Grotta del Colle il santuario dell'intero ethnos marrucino.
Merita una digressione la statuetta femminile, per il suo valore di documento relativo ai culti praticati nella grotta in età arcaica.
L'identificazione del bronzetto con la Dea Madre è suggestiva e fu proposta già dal Galli, il quale inoltre considerava la statuetta una copia in
piccole dimensioni del grande simulacro di culto della divinità forse un acrolito (5).
Della Dea di Rapino si può cogliere la valenza di divinità primigenia, espressione del mondo spirituale e religioso indigeno originario e non influenzato da sovrapposizioni esterne.
La sua duplice essenza, terrestre e infera (6), è legata al mondo naturale, agrario in particolare, in quanto divinità della fertilità, dispensatrice delle messi e quindi della vita (in questo senso si può forse interpretare la focaccia con le spighe tenuta nella mano destra, offerta propiziatoria dei fedeli e nello stesso tempo dono elargito dalla divinità); come dea legata alla terra e ai cicli della vita vegetale, qui simboleggiati dalle spighe di grano, nato dalla terra, mietuto, seppellito e rinascente (7), è però anche il nume che accoglie l'uomo alla sua morte, in un felice e propiziatorio parallelismo con il mondo vegetale che continuamente si rinnova.
  Incisione su diaspro di Zeus

Gemma con Zeus in trono.
Non è quindi un caso il rinvenimento della statuetta in una grotta (e sulla montagna "sacra" per eccellenza), quindi in una sorta di grembo dal quale scaturisce e al quale ritorna la vita.
Il persistere di queste ancestrali concezioni, accanto a nuove divinità (Giove), si può forse cogliere nella presenza, tra i votivi delle fasi successive ellenistico-romane, di un galletto fittile, animale che per primo annuncia la nascita del nuovo giorno.


Tratto da "I Luoghi degli Dei - Sacro e natura nell'Abruzzo italico"
A cura della Soprintendenza archeologica dell'Abruzzo - Provincia di Chieti - 1997





Torques in bronzo.



NOTE

(1) In seguito ai primi rinvenimenti del Romanelli, degli inizi dell'Ottocento, al sito si interessarono insigni studiosi, come De Nino e Dall'Osso; negli anni trenta il Galli rintracciò e recuperò materiali provenienti da scavi clandestini, ma solo nel 1940 si intraprese una sistematica campagna di scavo, diretta dall'allora Soprintendente alle Antichità dell'Abruzzo e del Molise, Giovanni Annibaldi, cui fece seguito, nel 1954, l'esplorazione di Antonio Radmilli. Nell'intento di integrare i dati finora acquisiti e di verificare lo stato delle emergenze, la Soprintendenza Archeologica dell'Abruzzo, nel 1995, sotto la direzione di V. d'Ercole, ha condotto un ultimo intervento nella grotta.

(2) Tra i materiali notevoli, databili all'età arcaica, si segnalano un torques e un bacile in bronzo.

(3) La tavola, acquistata dal Mommsen per i Musei di Berlino, è attualmente nel Museo Puskin di Mosca.

(4) Secondo la lettura fatta da La Regina in una conferenza tenutasi il 13 maggio 1991 nella Facoltà di Lettere dell'Università G. D'Annunzio di Chieti.

(5) GALLI 1939b, 245.

(6) GALLI 1939b, 232.

(7) CAMPANELLI etal. 1997.

 

 

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