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L'architettura teatrale nel Sannio.
SANNITI

Franco Valente
Un viaggio nel tempo tra gli edifici teatrali antichi.
DA CRETA A PIETRABBONDANTE
Prima Parte

 

MODULI DI ORIGINE PITAGORICA A PIETRABBONDANTE

Certamente a Giovanni Vincenzo Ciarlanti può essere attribuito il merito di aver iniziato per primo un concreto tentativo di ricostruire una identità della regione sannitica attraverso la tessitura di una trama continua degli avvenimenti del territorio dove ogni singola vicenda andava a collocarsi in un preciso contesto che egli individuava nel Sannio.
Altri raccoglitori di memorie storiche hanno ampliato le ricerche contribuendo ad arricchire quel quadro delle conoscenze che nel tempo si è fatto sempre più chiaro fino a darci oggi la possibilità di successive analisi finalizzate a ritrovare ulteriori fili conduttori degli avvenimenti storici che si sono succeduti e che in apparenza sono legati solo da un rapporto di conseguenza temporale.
In particolare sembra giunto il momento per cominciare a tracciare una storia dell'arte e dell'architettura del territorio molisano attraverso lo studio dei modelli armonici (o più semplicemente geometrici) rintracciabili nelle opere che ci sono pervenute provenendo da un passato anche remoto. Appare certamente singolare che sono proprio i monumenti più antichi a dimostrare che la ricerca architettonica aveva raggiunto fin dalle origini risultati compositivi che successivamente forse si sono ripetuti più per pratica abituale dei progettisti che per precise loro scelte di metodo.
Tra le teorie che maggiormente hanno affascinato il mondo culturale antico sono da annoverare innanzitutto quelle delle scuole pitagoriche rivolte a conoscere i rapporti armonici delle note musicali. Teorie che hanno stimolato ricerche nel campo dell'architettura, della scultura e della pittura e che hanno prodotto lo straordinario patrimonio ellenistico che solo in parte ci è pervenuto.

Pitagora era nato intorno al 580 a.C. a Samo, isola della Ionia nell'Egeo microasiatico. Nel 530, dopo che Policrato era divenuto tiranno di Samo, si spostò in Italia, a Crotone, dove fondò una scuola nella quale si insegnavano le teorie della metempsicosi e soprattutto lo studio del principio di ogni cosa, che egli attribuiva al numero. Pitagora e la sua scuola, è noto, si attirarono per il loro carattere segreto l'odio spietato del potente Cilone che perseguitò il maestro anche a Metaponto dove si era ritirato. I sodalizi pitagorici furono a più riprese distrutti e gli adepti sopravvissuti dispersi. Dall'incendio della casa di Milone, genero di Pitagora e suo allievo, si salvarono solo Liside, che si spostò a Tebe, e Archippo, che emigrò a Taranto dove, la scuola da lui fondata, ebbe grande sviluppo ad opera di Archita, di cui si parlerà più avanti, tra il 430 ed il 365 a.C.
Pitagora aveva scoperto che mediante l'uso della geometria era possibile ricavare i criteri di calcolo dei sistemi di accrescimento e di proporzionamento di tutto ciò che è in natura. Questo principio, non solo ipotizzato ma anche applicato nella pratica costruttiva, fu definitivamente sistematizzato soltanto intorno al 300 a.C. da Euclide di Alessandria, che lo richiamò nel libro VI degli Elementi dove lo definì

Cratere a volute da Ruvo
V secolo a.C. (a)
Napoli. Museo Archeologico Nazionale.
 
come media ed estrema ragione, quando risolse il problema della divisione di un segmento in due parti in maniera che la maggiore di esse risultasse medio-proporzionale tra l'intero segmento e la parte minore rimanente.
Questo rapporto proporzionale in particolare e l'uso delle matrici geometriche più generalmente si ritrova in tutte le opere degli architetti e degli artisti greci, da Reco e Teodoro di Samo, a Cleomene ed Epidio, ad Ippodamo che lo estese all'urbanistica nelle sistemazioni del Pireo, di Rodi e soprattutto di Mileto, ad Iktino e Kallicrates nella progettazione e nell'esecuzione del Partenone, a Policleto che concepì la statua come una composizione architettonica in cui l'aspetto figurativo doveva combinarsi con la statica, a Fidia che lo applicò, in maniera sistematica nelle sculture dell'Acropoli.
Una volta definito il principio, l'applicazione pratica si diffuse in ogni campo della produzione artistica ed architettonica, propagandato soprattutto dalle scuole pitagoriche che intorno al V secolo a.C. furono presenti in tutto il bacino di influenza del mondo elladico, dalle coste dell'Asia Minore fino a quelle dell'Italia Meridionale ed insulare appartenenti alla Magna Grecia. Ma oltre che riferirci agli autori della produzione classica ed ellenistica della Grecia centrale e microasiatica, sembra opportuno in questa sede un richiamo più preciso ai rapporti diretti tra il mondo sannitico e quello della Magna Grecia.
Il racconto liviano delle guerre sannitiche prende l'avvio dal ricordo di un'alleanza tradita.
Romani e Sanniti nel 354 a.C. avevano stipulato un patto di mutuo soccorso perché i primi erano pressati dal nord da popolazioni Etrusche e Celtiche, ed i secondi da quelle della Magna Grecia. Ci si chiede quale poteva essere il tipo di pressione di cui si preoccupavano Romani e i Sanniti (e questi ultimi in particolare). Certamente era in atto un doppio processo di espansione, uno dall'alto e l'altro dal basso, preceduti ambedue da una egemonizzazione culturale che però non produsse alla fine la conseguente egemonizzazione territoriale proprio per la capacità dei Romani di assorbire il pesante urto esterno e ribaltare a proprio vantaggio le influenze culturali esterne.
Il Sannio risultò soccombente rispetto alla capacità organizzativa degli originari alleati romani, ma nella fase interlocutoria compresa tra il patto del 354 e la definitiva sconfitta conseguente alla disfatta della Lega Italica nel 90 a.C., si riconosce in esso una sensibilità notevole a recepire gli stimoli culturali del mondo greco.
Le testimonianze epigrafiche sono limitatissime, però certamente significativa è la citazione di Nearco di Taranto (1) che attesta la frequentazione della scuola Pitagorica di Archita di Taranto da parte del condottiero sannita Erennio Ponzio.
Questa circostanza non è stata apprezzata dal Salmon, il quale nella sua opera non sembra convinto dei buoni livelli della cultura sannitica, dubitando della attendibilità dell'affermazione di Nearco circa le elevate doti intellettuali di Erennio Ponzio, tanto che attribuisce al fatto, pur considerandolo verosimile, un significato episodico e privo di riflessi sulla realtà complessiva del Sannio.
 
Cratere a figure rosse del pittore
di Licurgo. IV secolo a.C. (b)
Londra, British Museum.
Non abbiamo alcun riferimento concreto sulle cose fatte da Erennio Ponzio nell'epoca in cui visse, ma è comunque ampiamente documentata la presenza di elementi della cultura tarantina in opere artistiche ritrovate nell'area sannitica ed in particolare in Pietrabbondante.
Erennio Ponzio visse nel IV secolo a.C. e di lui e delle sue capacità strategiche oltre che intellettuali parla più volte Livio, ma non è quest'aspetto che ci interessa.
Appare invece importante considerare che certamente non può, ritenersi priva di conseguenze pratiche la sua partecipazione agli insegnamenti della scuola tarantina dove i principi pitagorici certamente furono recepiti e riportati nell'ambito territoriale sannitico. Come pure non è verosimile che la sua presenza in Taranto sia frutto solamente di una scelta personale e non invece atto inquadrabile in un preciso interesse filosofico e politico capace di attirare l'attenzione dell'intera classe politica sannitica.
Ad Archita di Taranto, vissuto tra la fine del V secolo e la metà del IV, si attribuisce la fama di essere stato l'ultimo statista pitagorico alla guida della sua città che fece prosperare economicamente e militarmente. Applicò i principi matematici alla meccanica militare e impiantò una scuola pitagorica che suscitò impressione anche in Platone quando soggiornò a Taranto nel 389. Ma gli studi e le ricerche più importanti furono condotti da Archita sull'applicazione della geometria dello spazio alla soluzione dei problemi di geometria piana, avviando quelle ricerche che si concluderanno con la teoria delle coniche.
E.T. Salmon sostiene, a proposito delle elevate doti della famiglia di Erennio, che è del tutto arbitrario dedurre da questo che i suoi più rozzi conterranei sanniti avessero fatto altrettanto in quanto quelle poche testimonianze archeologiche provenienti dal cuore del Sannio di cui disponiamo rivelano con la massima chiarezza come i contatti fra esso e il mondo greco fossero tutt'altro che comuni.
La possibilità di confrontare la discreta quantità di monumenti sacri scoperti nell'area sannitica ci permette oggi di controbattere a tale pregiudiziale, peraltro affermata solo in via di principio.
Intanto appare opportuno preliminarmente ribadire una serie di dubbi circa le datazioni più o meno ufficiali che vengono date alla vasta produzione urbanistica ed architettonica della cultura sannitica. Come pure appare sempre più discutibile la dichiarata certezza sulla individuazione e la conseguente localizzazione di centri sannitici elencati dagli storici romani e di cui sembra essersi persa ogni traccia. In questa sede però non sembra necessario soffermarsi su questo particolare aspetto della questione quanto piuttosto andare alla ricerca di quel filo conduttore che comunque collega tutta la produzione sacra del Sannio e che per noi pare avere una unica origine nella tradizione pitagorica, sia che se ne vogliano ritrovare i collegamenti attraverso il passaggio diretto rappresentato dai contatti di Erennio Ponzio con Archita di Taranto, sia che si vogliano ipotizzare altri indiretti collegamenti. Certamente la ricerca appare comunque ardua per le difficoltà di accesso ai monumenti che sembrano ricevere oggi una sola protezione, quella a difesa dagli studiosi, mentre avanza il degrado naturale, spesso accompagnato da discutibili restauri che ci riportano alla mente le irreversibili trasformazioni effettuate dai ricostruttori di una improbabile classicità.
Partiremo per questo viaggio proprio dal Tempio Maggiore di Pietrabbondante riprendendo prima di tutto una acuta osservazione di Adriano La Regina il quale nota che le dimensioni generali del recinto che racchiude il cosiddetto teatro di Pietrabbondante (che Mansuelli opportunamente definisce piuttosto un teatroide) corrispondono esattamente a quelle che Livio attribuisce al recinto entro il quale nel 293 a.C. fu effettuato il giuramento di Aquilonia: "locus est consaeptus cratibus pluteisque et linteis contectus, patens ducentos maxime pedes in omnes pariter partes".
Questo ed altri riscontri portano a ritenere identificabile nell'area sacra di Pietrabbondante il centro sannitico di Aquilonia, pur se La Regina, insieme ad altri ricercatori, poi afferma di riconoscerlo nella cinta muraria di Monte Vairano, presso Baranello. Ma quello che più ci interessa è di verificare se princìpi pitagorici siano stati applicati nel conformare l'architettura del complesso.




Pietrabbondante. Planimetria generale con l'individuazione dei rapporti aurei
(rilievo di base a cura della Soprintendenza ai Monumenti del Molise).



Già La Regina notava che le singole misure del Tempio Grande partivano da un modulo di 7 piedi di 27,5 centimetri, ma non ne analizzava il disegno complessivo che, invece, appare rispondere a criteri proporzionali più raffinati e sicuramente collegati all'applicazione della sezione aurea. Infatti il rettangolo che planimetricamente definisce il basamento del monumento è un rettangolo aureo in cui il lato maggiore è medio proporzionale tra la somma del lato maggiore più il lato minore ed il lato minore.
In altri termini il rapporto esistente tra il lato minore ed il lato maggiore è identico al rapporto che intercorre tra il lato maggiore e la somma dei due lati del rettangolo.
Algebricamente, se attribuiamo il valore 1 al segmento da dividere, con 1-x la parte più piccola e con x quella più grande, avremo la seguente proporzione:

Ne consegue che anche nel caso del Tempio Maggiore di Pietrabbondante il rapporto tra il lato minore e quello maggiore è pari a 0,618. Inoltre l'allineamento del fronte delle celle è ricavato costruendo un quadrato sul lato minore del fronte del basamento e di conseguenza la parte che viene a staccarsi forma un nuovo rettangolo aureo costituito dal blocco delle celle stesse.
Ma a parte gli ulteriori rapporti proporzionali che a questo punto quasi automaticamente vengono a determinarsi nel monumento vale la pena evidenziare che il Tempio Grande si pone in uno straordinario allineamento con il teatro sottostante e con la cima del monte Saraceno che sta alle spalle e che risultava essere la parte più alta della rocca megalitica. Se si prova a continuare idealmente per oltre 10 chilometri tale allineamento ci si renderà conto che oltre ad incontrare la parte apicale di almeno altri due colli, si raggiungerà il tempietto di Vastogirardi in località Sant'Angelo, dove possiamo verificare che, sebbene diverse siano le dimensioni del monumento, uguale è il rapporto proporzionale dell'impianto planimetrico.
Anche il basamento di questo tempietto è pertanto un rettangolo aureo dove il limite dell'unica cella si ottiene dall'incrocio della diagonale del quadrato costruito sul fronte e la diagonale dell'intero rettangolo. Con ulteriori passaggi regolati geometricamente si ottengono i posizionamenti degli altri elementi architettonici.

 

NOTE

(1) Sulla tradizione della presenza di Platone a Taranto si veda in particolare: A. MELE, in "AION Arch. St. Ant." III (1981) p. 61 e sgg.

(a) Cratere a volute da Ruvo, che mostra un gruppo di attori pronti per un dramma satiresco: al centro Dioniso ed Arianna, in basso il flautista Pronomos e intorno un coro di satiri, in alto gli attori con le loro maschere. V secolo a.C. - Napoli, Museo Archeologico Nazionale.

(b) Cratere a figure rosse attribuito al Pittore di Licurgo, con rappresentazione degli Edonoi di Eschilo, tragedia ora perduta che faceva parte di una triologia sul mito di Licurgo. IV secolo a.C. - Londra, British Museum.

 

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