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SANNITI

 
Sannio settentrionale.
VITICUSO, IL SUO TERRITORIO,
LA SUA STORIA.

Benedetto Di Mambro

 

IL LAGO VITECUSUM

Il nome del centro abitato di Viticuso, posto nell’estremo lembo meridionale della Provincia di Frosinone, ai confini con il Molise e con la provincia di Isernia ed il territorio venafrano, deriva da quello del lago che, in tempi molto remoti, occupava l’intera vallata sottostante la collinetta dove oggi è raccolto, a forma di cono, lo stesso centro storico del paese con la sua bellissima chiesa parrocchiale settecentesca, di poco distante dal luogo dove un tempo sorgeva il castello dei Conti longobardi di Venafro.
Lacum Vitecusum, chiamavano, già nel X secolo, quella vasta e putrida estensione d’acqua fra i monti del Lazio Meridionale e del Molise e proprio con questo nome lo troviamo riportato nel Privilegio dei Principi Longobardi di Capua, Landolfo I e Atenolfo II, stilato il 25 aprile del 928 per confermare all’abbazia di Montecassino la delimitazione dei confini della Terra Sancti Benedicti (detta anche Flumetica).
E’ chiaro che quel nome latino in forma neutra (e cioè con la -m- finale) dato al lago da quel giorno in poi, dovette essere frutto di un’ errata interpretazione del testo del Privilegio suddetto. In latino, lago si dice lacus, in forma maschile e, quindi, per intero, sarebbe dovuto essere Lacus Vitecusus, anche prendendo per buona tale dizione che, come vedremo, è anch’essa una derivazione di molto adattata al latino medioevale. Nel Privilegio dell’ anno 928 si legge che il confine "... directum vadit


L'area tra Viticuso, Conca Casale e Venafro.
 
ad lacum qui vocatur Vitecusum..." e che cioè "va dritto verso il lago che è chiamato Vitecusum".
Rimane evidente, quindi, che il soggetto della frase era il confine e che lacum era la forma in accusativo di lacus, in quanto preceduto dalla preposizione "di moto a luogo" ad e, allo stesso modo, il nome Vitecusum era scritto in accusativo non essendo il soggetto della frase. Un nome neutro (o addirittura in accusa-tivo) modellato su una approssimata volgarizzazione medievale del latino Lacus Verticibus Clausus e cioè: lago racchiuso fra le vette dei monti che lo circondavano : Monte Cavallo (m.1070), Monte Maio (m.1252), Monte Carvello (m.1142), Colle Aquilone (m.1068) e la Forcella di Cervaro (m.1053).
Quell’ablativo Verticibus divenne, con il tempo e nel latino medievale victis e quindi vittis, da cui sarebbe dovuto divenire Lacus Vittis Clausus o Clusus, ma nella trasposizione volgare che ne fu fatta nel X secolo divenne, per l’appunto, Vitecusum.
Quel lago andò man mano prosciugandosi naturalmente verso il XV secolo, defluendo verso la piana di Conca Casale, attraverso canaloni naturali, ancora oggi ben visibili, chiamati Le Rave.
Non abbiamo certezza se quei monti circostanti il lago fossero, in tempi preistorici, abitati ma è molto probabile che, già dal IV o V secolo avanti Cristo, vi fossero insediamenti di popolazioni appartenenti alla tribù dei Pentri di ceppo Sannita.
"Bellicoso popolo di pastori", i Sanniti avevano, d’altronde, trovato lassù quanto di più a loro necessario: acqua, pascoli e ripari sicuri da eventuali incursioni di popoli avversari. D’altra parte erano anche zone non di molto distanti dai ben più grossi agglomerati abitativi sanniti, proprio nella regioni dei Pentri : Venafrum, Cesennia - (nei pressi della località Radicosa in territorio comunale di San Vittore del Lazio e sui primi balzi del Monte Sambucaro o Sammucro - ed Aquilonia (fra le attuali Cardito e Cerasuolo). Non di meno, i toponimi di alcune località, sia in territorio di Viticuso sia in quello della vicina Conca Casale, come Fuori e Trasàrce e di cui parleremo più approfonditamente più avanti, lasciano di molto intendere quanto sinora affermato.
D’altra parte, se già agli inizi dell’VIII secolo dell’era cristiana, il duca longobardo Gisulfo di Benevento accampava diritti di proprietà del proprio feudo su quei territori, di certo non lo affermava solo per la presenza del lago e dei monti circostanti, bensì anche per la presenza in zona di insediamenti di popolazioni indigene, dedite alla pastorizia ed all’ agricoltura. Per lo stesso scopo dovettero muoversi, nel 1003, i monaci benedettini di Montecassino, quando, nel riaffermare e consolidare la propria sfera di influenza su quella che era la Terra di San Benedetto, costruirono una fortezza sui primi balzi rocciosi di Monte Carvello dove, oggi, poco più a monte di Viticuso, sorge la chiesa di Sant'Antonino e, con molta probabilità, rifugio naturale delle antiche popolazioni sannite del posto e di cui resta ancora ben visibile, scavato proprio fra quelle rocce dirimpetto all’attuale paese di Viticuso, un varco ad arcaica forma ogivale.
La cosa si ripetette nel 1018 e poi ancora nel 1031, ad opera dei feudatari longobardi di Venafro, quando gli stessi costruirono un proprio castello, ad onta del potere di Montecassino, sulla collinetta oggi occupata dal centro abitato di Viticuso, proprio difronte al colle del castello benedettino. Non si spiegherebbero altrimenti castelli isolati su lande montane, sperdute e deserte, se non vi fosse stata in loco presenza certa di gente da impegnare nel lavoro dei campi e dei pascoli.
Del castello longobardo oggi non resta più traccia alcuna nel centro storico di Viticuso: gli ultimi resti, compreso uno spezzone di torre, che si affacciavano sulla pianura un tempo occupata dal lago, furono fatti abbattere, stando a quanto ci riferiscono gli abitanti del luogo, a seguito del terremoto del 1984, perché ritenuti pericolanti.

 

VITICUSO NELLA STORIA: DAI SANNITI AD OGGI

Come già detto, il territorio, lacustre e paludoso, di Viticuso ed i suoi monti circostanti furono abitati, come meglio vedremo in seguito, sin dal IV o V sec. a.C., da popolazioni osco - sannite, dedite soprattutto alla pastorizia. Fra il 327 ed il 304 a.C., quel territorio fu sicuramente teatro di sanguinose battaglie, nel corso della Seconda Guerra Sannitica, che le legioni romane condussero contro quelle popolazioni per acquisire la supremazia sui passaggi da Roma e dal Latium Adiectum (quello che da Anagni scendeva verso Cassino) verso la Campania e le Puglie. Conquistata Cesennia, a monte dell’odierna San Vittore del Lazio, in località Radicosa (vedi: Attilio Coletta - "Centri fortificati del Lazio Meridionale", Atina 1998) nel 305 a.C., infatti, i Romani da lì cercarono di portare attacchi a Venafrum ed Aquilonia, attraversando, quindi, più volte anche il territorio viticusano. Ancor più probabili ci appaiono maggiori coinvolgimenti di quelle zone nelle successive contese fra Romani e Sanniti, sia nel corso della Terza Guerra Sannitica (299 - 290 a.C.), con la definitiva conquista, nel 293 a.C., di Cominium, da parte del console Spurio Carvilio e di Aquilonia da parte del console Papirio Cursore, sia e soprattutto venti anni dopo, nel corso della guerra dei Romani contro Pirro, re dell’ Epiro, in occasione della quale i Sanniti avrebbero trovato il modo di ribellarsi al dominio di Roma. Nel 272 a.C., infatti, contro i ribelli sanniti e loro alleati, i Romani avevano rieletto consoli proprio gli eroi di Cominio ed Aquilonia, Carvilio e Cursore, inviando Carvilio contro i locali Pentri ed i Caraceni dell’alta valle del fiume Sangro, mentre Cursore fu impegnato nella campagna bellica contro le popolazioni dei Lucani e dei Bruzi, nelle odierne Basilicata e Calabria.




Viticuso con alle spalle le alture di
Monte Carvello, Monte Aquilone e Monte Maio.


Evidente, ci appare, l’assonanza del nome del console Carvilio con quello del poco distante Monte Carvello e con quello dialettale del costone boscoso, a quota 794, al bivio fra Cardito ed Acquafondata - Viticuso, lungo la strada proveniente da Vallerotonda: gliù carvièglie (vedi quanto già dal sottoscritto riferito nel suo recente libro "Sant’ Elia Fiumerapido ed il Cassinate", Cassino 2002).
Come già detto, il territorio viticusano era all’epoca zona lacustre e paludosa, occupato com’ era da un grande lago, già nel 718 rientrante nei possedimenti feudali del duca longobardo Gisulfo di Benevento e che, come abbiamo già visto, in un Privilegio longobardo di un paio di secoli più tardi (anno 928) viene ancora menzionato e chiamato Lacum Vitecusum (Luigi Fabiani: La Terra di San Benedetto, Isola del Liri 1950).
Era, in quel momento, già parte integrante della Terra di San Benedetto e quindi tenimento feudale di Montecassino che, nel 1003, eresse, sul colle ove oggi sorge la chiesa di Sant'Antonino, una propria fortezza a guardia del territorio. Nell’862, proprio quel territorio era stato, anche e purtroppo, attraversato e devastato da orde saracene provenienti da Venafro e dirette verso Atina.
Nel 1018 i conti longobardi di Venafro costruirono un proprio castello, proprio sulla collinetta dove oggi sorge il centro storico di Viticuso, dirimpetto a quello benedettino, sfidando l’abate Atenolfo che subito vi inviò truppe Normanne alleate, che lo demolirono.
Fra il 1031 ed il 1064, però, i Conti di Venafro riedificarono il castello di Viticuso assieme a quello di Acquafondata.
Nel 1105 il conte longobardo Ugo del Molise fece dono del castello e del territorio di Viticuso all’abbazia di Montecassino e, nel 1107, il duca di Gaeta, il normanno Riccardo dell’ Aquila, se ne assunse il ruolo di difensore, giurando fedeltà all’ abate Oderisio. Seguì, nel cassinate ed in tutta la Terra Sancti Benedicti, un lungo periodo di lotte fra signorotti locali e Normanni, con altrettanta fase di vera e propria anarchia.
L’abate Gerardo, nel 1122, provvide allora al rafforzamento delle mura di fortificazioni del Castello di Viticuso assieme a quelli di Cardito, Pontecorvo e Suio. Ristabilita la pace e la legalità, il territorio, il villaggio ed il Castello di Viticuso, pur con le vicissitudini belliche che segnarono per diversi anni i rapporti fra Montecassino e l’imperatore Federico II di Svevia, vissero un lungo periodo di relativa tranquillità.
Nel 1278 il Castello di Viticuso era ancora possedimento di Montecassino e lo rimase ininterrottamente fino al 1806, quando il nuovo re di Napoli, Giuseppe Bonaparte, tolse all’ abbazia benedettina cassinese i privilegi feudali che ormai deteneva da oltre 10 secoli. Il provvedimento fu confermato nel 1815, con il ritorno dei Borbone sul trono del Regno delle Due Sicilie. Ebbe così fine il potere temporale di Montecassino.
Viticuso entrò, quindi, nell’ orbita del Potere Reale napoletano, facendo parte del territorio casertano e quindi della Provincia di Terra del Lavoro, rimanendovi fino al 1927, quando fu invece accorpata alla neo Provincia di Frosinone. Il paese era intanto divenuto Comune, con propria Sede Municipale e comprendente anche i vicini centri e territori di Acquafondata e Casalcassinese, con Regio Decreto dell’ allora Re di Napoli Gioacchino Murat, in data 4 maggio 1811. Dopo l’ Unità d’ Italia, però e precisamente nel 1870, la Sede Municipale fu trasferita da Viticuso ad Acquafondata e così le cose restarono fino al 1902, quando la stessa Sede Municipale fece ritorno a Viticuso che, proprio in quell’ anno, divenne Comune autonomo, così come quello di Acquafondata. Nel 1911 Viticuso contava 1170 abitanti, mentre quello di Acquafondata, che comprendeva anche il centro abitato di Casalcassinese, ne contava 1198.
Intanto, fra il 1862 ed il 1870, Viticuso, che all’ epoca contava circa 700 abitanti, e tutto il suo territorio, assieme agli altri centri montani vicini, come Vallerotonda, Acquafondata, Conca Casale, Casalcassinese, Cardito e San Biagio Saracinesco, dovette subire le nefandezze sanguinarie della spietata banda del brigante Domenico Fuoco da San Pietro Infine, contro il quale, fino alla sua uccisione, fu lungamente impegnato l’ esercito dell’ Italia Unitaria post Risorgimentale.
Altre drammatiche vicende, Viticuso avrebbe dovuto viverle nel corso dell’ ultimo conflitto mondiale, assieme ad Acquafondata, fra il dicembre 1943 ed il maggio 1944 quando, contro la Linea Gustav dell’ esercito tedesco, divenne avamposto militare Alleato, punta avanzata delle retrovie di Venafro, con la lunga permanenza in zona di truppe ed artiglierie statunitensi, francesi, canadesi e nordafricane.
Dalla seconda metà degli anni 1970, Viticuso ha decisamente cambiato aspetto, divenendo da sperduto paesino montano ad accogliente e vivace centro turistico, sia in periodo invernale che, soprattutto, in quello estivo.

 

I SANNITI IN TERRITORIO DI VITICUSO

Di recente e per mia non precedente conoscenza dello stesso, ho avuto modo di leggere alcuni stralci fotocopiati dell’ interessante libro "Memorie di casa nostra" di Antonio Iannetta, edito nel 1974 e relativo alle origini ed alla storia di Viticuso, Acquafondata e Casalcassinese. Personalmente l’ho trovato interessante fonte imprescindibile di notizie e di ricchezza storico - culturali per chi voglia meglio conoscere questo meraviglioso lembo di territorio, ai margini estremi della Provincia di Frosinone ed ai confini con il Molise, oltre che ricco di spunti per ulteriori approfondimenti. A colpirmi, soprattutto, sono state alcune notizie, riportate in nota (la n. 12 di pag. 86), relative ad ipotetici insediamenti sannitici in territorio viticusano e, quindi, ai nomi di alcune località del circondario, come ad esempio Trasàrce (o Trasàrcia), Fuori e lo stesso Monte Carvello, riecheggianti altrettanti nomi con radici greche e latine. La cosa mi ha spinto a condurre accurate indagini e ricerche, sia sul campo, avendo come preziosa guida locale, il giovane Pietro Neri, che attraverso relativa documentazione, che potessero farmi giungere ad una definizione di più precise notizie che comprovassero possibili presenze ed origini sannitiche del territorio viticusano.
Non c’è dubbio, intanto, che il lago Vitecusum e le zone circostanti si trovassero proprio sulla direttrice di piste sannitiche che, partendo dalle città sannite di Venafrum e della probabile Cesennia (in territorio di Radicosa di San Vittore del Lazio, così come ipotizzato da Attilio Coletta in "Centri fortificati del Lazio Meridionale", Atina 1998), si dirigevano verso nord per raggiungere l’altra fortezza sannitica di Aquilonia (Cardito-Cerasuolo) e quella di Aufidena, quest’ultima alle spalle del massiccio montuoso delle Mainarde e più precisamente nel fondovalle abruzzese del valico fra Monte Mare (m.2020) e Monte Cavallo (m. 2039), omonimo di quello più basso (m. 1007) e più vicino a Viticuso. Poi, non proprio stranamente, si ripete, su quel percorso e per ben due volte, un nome molto familiare che ci riporta, indietro nel tempo, al terzo secolo avanti Cristo, epoca delle ultime lotte fra Romani e Sanniti: Monte Carvello (m. 1142), di poco ad ovest di Viticuso, sul massiccio montuoso comprendente anche il Colle Aquilone e la sua cima più alta di Monte Maio e, all’altezza dell’attuale bivio della provinciale proveniente da Vallerotonda, che a quel punto, a quota 794, volta a sinistra per Cardito ed a destra per Acquafondata-Viticuso, il costone boscoso da sempre chiamato (e solo in dialetto locale), gliù carvièglie. Fatto è che uno dei due consoli romani che, prima nel 293 a.C. e poi nel 272 a.C., condussero sanguinose e vittoriose battaglie contro i Sanniti di Aquilonia e Cominium, prima, e contro la successiva ribellione sannitica al tempo dell’invasione dell’ Italia Meridionale da parte di Pirro, re dell’Epiro, dopo, si chiamava proprio Carvilio e, più esattamente, Spurio Carvilio Massimo. Evidente l’assonanza del nomen Carvilius con i toponimi Carvello e carvièglie. Proprio da quelle parti dovette molto probabilmente passare, dunque, il console Carvilio con le sue legioni, incontrandovi resistenze sannite. La tradizione orale fece il resto, conservandone il nome, mutandolo di poco e tramandandocelo nelle due versioni di cui sopra. Cosa era successo?
Nel 280 a.C. l’Italia Meridionale, su invito dei Tarentini, fu invasa da un esercito d’oltre mare: era quello guidato dal re dell’Epiro, Pirro. A lui si affiancarono molti dei popoli del centro-sud della Penisola e, fra questi i Sanniti, che da circa dieci anni, ormai, mal sopportavano il dominio che Roma aveva imposto su di loro. Dopo la sconfitta di Benevento del 275 a.C., però, Pirro lasciò l’Italia ma i Sanniti ed altri popoli meridionali continuarono la loro lotta contro Roma. Nel 272 a.C., anno in cui l’antica Casinum diveniva Praefectura romana, i romani rielessero consoli gli eroi della terza Guerra Sannitica: Papirio Cursore e Spurio Carvilio. Il primo si diresse contro i Bruzi ed i Lucani delle odierne Calabria e Basilicata, mentre il secondo, Carvilio, vero eroe di questa fase della guerra e della vittoria finale, passò da una vittoria all’altra contro le tribù sannite dei Pentri e dei Caraceni, che occupavano gli attuali territori di Cardito, Cerasuolo, Venafro, Isernia, del Matese e della valle del Sangro.
A tal proposito, E.T. Salmon, massimo studioso della civiltà e della storia dei Sanniti, scrive (Il Sannio e i Sanniti, Cambridge 1967, pag. 302): "... Con la stessa metodicità impiegata nelle fasi conclusive della terza guerra sannitica, i Romani annientarono le tribù sannite, una dopo l’altra. Ci volle del tempo, trattandosi di una regione poco urbanizzata, in cui scarseggiavano i centri in grado di costituire obiettivi strategici di una qualche importanza...". Sembra la descrizione di quei territori desolati e montani che dovevano corrispondere proprio al territorio sopra descritto, soprattutto sul versante di Viticuso e Conca Casale. Carvilio, dunque, riportò numerose vittorie consecutive, fino a conquistare Aesernia e Venafrum, anche quest’ultima destinata, qualche anno dopo (269 a.C.), a diventare sede di Praefectura romana. Terreno di scontro con i Sanniti fu proprio la regione montuosa fra Cardito, Vallerotonda, Acquafondata, Viticuso, Conca Casale e, quindi Venafro. Di Monte Carvello, sui cui primi balzi probabilmente sorgeva una fortificazione sannitica, sulle cui rovine i benedettini costruirono nel 1003 il loro castello, al cui posto oggi si erge la chiesa di Sant'Antonino, e del così detto carvièglie, fra Cardito ed Acquafondata, luogo di assai probabile scontro fra romani e residue resistenze sannitiche, abbiamo già detto. Circa il territorio viticusano, soprattutto ai confini con quello di Conca Casale, resta invece ancora da dire molto.
Proprio da quelle parti, due località portano nomi molto indicativi: il borgo abbandonato e disabitato di Fuori, in Comune di Viticuso e da cui dista non più di 4 chilometri e la variegata valle di Trasàrce (o Trasàrcia), in Comune di Conca Casale, ma ad appena un chilometro e mezzo da Fuori. Circa questi due toponimi, abbiamo cercato di studiarne le probabili derivazioni e risalirne ai significati originari.
Trasarce ha una radice molto simile all’ aggettivo femminile greco thràseia o thràsia, il cui significato stà per "coraggiosa", mentre la sua desinenza in -arce non è altro che l’italianizzazione del termine latino àrx, cioè "cittadella fortificata o fortezza".
Thràsia àrx stava dunque per "fortezza coraggiosa", divenuta, nel tempo, Tràsiarx, Trasiarce e quindi Trasarce o Trasarcia, come qui in molti la chiamano. E’ una località campestre molto vasta, contornata da un fitto sistema collinare che raggiunge i 1000 metri di altitudine e che, probabilmente, fu fortificata dai Sanniti, nel 272 a.C., con le loro tipiche mura poligonali, come quelle possenti ed assai note di Monte Santa Croce, che si erge proprio in quella valle e non molto distante da Conca Casale e da Venafro, a difesa della gola di passaggio dalla valle di Cominium e quindi attraverso il territorio del lago Vitecusum proprio verso Venafrum.
Più controversa, invece, l’origine dell’altro toponimo Fuori.
Da un lato la sua derivazione potrebbe essere latina : fòrum significava piazza o consimili, come d’altronde il derivato dialettale fòre stà per "fuori" e quindi per "luogo all’aperto", ma significava anche "borgo". Basti pensare al nome Forum vetus (borgo antico) che i popoli sabellici, e fra essi i Sanniti, davano all’antica Casinum (Marco Terenzio Varrone: De Lingua Latina, I secolo a.C.).
D’altra parte, però, ci sembra più plausibile, data la posizione esterna e lontana della località Fuori rispetto al centro abitato di Viticuso, pensare che Fuori stesse per "fuori Viticuso": un piccolo villaggio ben messo ma oggi disabitato, con bei resti di ville settecentesche di campagna.
Tornando alla prima ipotesi, potrebbe trattarsi, invece, di una piccola colonia romana dedottavi nel 272 a.C. dal console Carvilio, dopo la distruzione di Thràsiarx, ultimo baluardo sannitico a difesa della vicina Venafrum, sui cui resti, successivamente, furono adattate o costruite proprio quelle residenze di campagna settecentesche, ancora ben conservate, anche se abbandonate e deserte.




Cartografia della zona tra San Vincenzo al Volturno, Venafro, Cassino ed Atina.
Il paese di Viticuso è situato sulle montagne tra Cassino e Venafro.


 

 

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Storia dei Sanniti e del Sannio - Davide Monaco

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