Evidente, ci appare, l’assonanza del nome del console Carvilio con quello del poco distante Monte Carvello e con quello dialettale del costone boscoso, a quota 794, al bivio fra Cardito ed Acquafondata - Viticuso, lungo la strada proveniente da Vallerotonda: gliù carvièglie (vedi quanto già dal sottoscritto riferito nel suo recente libro "
Sant’ Elia Fiumerapido ed il Cassinate", Cassino 2002).
Come già detto, il territorio viticusano era all’epoca zona lacustre e paludosa, occupato com’ era da un grande lago, già nel 718 rientrante nei possedimenti feudali del duca longobardo Gisulfo di Benevento e che, come abbiamo già visto, in un Privilegio longobardo di un paio di secoli più tardi (anno 928) viene ancora menzionato e chiamato Lacum Vitecusum (
Luigi Fabiani:
La Terra di San Benedetto, Isola del Liri 1950).
Era, in quel momento, già parte integrante della Terra di San Benedetto e quindi tenimento feudale di Montecassino che, nel 1003, eresse, sul colle ove oggi sorge la chiesa di Sant'Antonino, una propria fortezza a guardia del territorio. Nell’862, proprio quel territorio era stato, anche e purtroppo, attraversato e devastato da orde saracene provenienti da Venafro e dirette verso Atina.
Nel 1018 i conti longobardi di Venafro costruirono un proprio castello, proprio sulla collinetta dove oggi sorge il centro storico di Viticuso, dirimpetto a quello benedettino, sfidando l’abate Atenolfo che subito vi inviò truppe Normanne alleate, che lo demolirono.
Fra il 1031 ed il 1064, però, i Conti di Venafro riedificarono il castello di Viticuso assieme a quello di Acquafondata.
Nel 1105 il conte longobardo Ugo del Molise fece dono del castello e del territorio di Viticuso all’abbazia di Montecassino e, nel 1107, il duca di Gaeta, il normanno Riccardo dell’ Aquila, se ne assunse il ruolo di difensore, giurando fedeltà all’ abate Oderisio. Seguì, nel cassinate ed in tutta la Terra Sancti Benedicti, un lungo periodo di lotte fra signorotti locali e Normanni, con altrettanta fase di vera e propria anarchia.
L’abate Gerardo, nel 1122, provvide allora al rafforzamento delle mura di fortificazioni del Castello di Viticuso assieme a quelli di Cardito, Pontecorvo e Suio. Ristabilita la pace e la legalità, il territorio, il villaggio ed il Castello di Viticuso, pur con le vicissitudini belliche che segnarono per diversi anni i rapporti fra Montecassino e l’imperatore Federico II di Svevia, vissero un lungo periodo di relativa tranquillità.
Nel 1278 il Castello di Viticuso era ancora possedimento di Montecassino e lo rimase ininterrottamente fino al 1806, quando il nuovo re di Napoli, Giuseppe Bonaparte, tolse all’ abbazia benedettina cassinese i privilegi feudali che ormai deteneva da oltre 10 secoli. Il provvedimento fu confermato nel 1815, con il ritorno dei Borbone sul trono del Regno delle Due Sicilie. Ebbe così fine il potere temporale di Montecassino.
Viticuso entrò, quindi, nell’ orbita del Potere Reale napoletano, facendo parte del territorio casertano e quindi della Provincia di Terra del Lavoro, rimanendovi fino al 1927, quando fu invece accorpata alla neo Provincia di Frosinone. Il paese era intanto divenuto Comune, con propria Sede Municipale e comprendente anche i vicini centri e territori di Acquafondata e Casalcassinese, con Regio Decreto dell’ allora Re di Napoli Gioacchino Murat, in data 4 maggio 1811. Dopo l’ Unità d’ Italia, però e precisamente nel 1870, la Sede Municipale fu trasferita da Viticuso ad Acquafondata e così le cose restarono fino al 1902, quando la stessa Sede Municipale fece ritorno a Viticuso che, proprio in quell’ anno, divenne Comune autonomo, così come quello di Acquafondata. Nel 1911 Viticuso contava 1170 abitanti, mentre quello di Acquafondata, che comprendeva anche il centro abitato di Casalcassinese, ne contava 1198.
Intanto, fra il 1862 ed il 1870, Viticuso, che all’ epoca contava circa 700 abitanti, e tutto il suo territorio, assieme agli altri centri montani vicini, come Vallerotonda, Acquafondata, Conca Casale, Casalcassinese, Cardito e San Biagio Saracinesco, dovette subire le nefandezze sanguinarie della spietata banda del brigante Domenico Fuoco da San Pietro Infine, contro il quale, fino alla sua uccisione, fu lungamente impegnato l’ esercito dell’ Italia Unitaria post Risorgimentale.
Altre drammatiche vicende, Viticuso avrebbe dovuto viverle nel corso dell’ ultimo conflitto mondiale, assieme ad Acquafondata, fra il dicembre 1943 ed il maggio 1944 quando, contro la Linea Gustav dell’ esercito tedesco, divenne avamposto militare Alleato, punta avanzata delle retrovie di Venafro, con la lunga permanenza in zona di truppe ed artiglierie statunitensi, francesi, canadesi e nordafricane.
Dalla seconda metà degli anni 1970, Viticuso ha decisamente cambiato aspetto, divenendo da sperduto paesino montano ad accogliente e vivace centro turistico, sia in periodo invernale che, soprattutto, in quello estivo.
I SANNITI IN TERRITORIO DI VITICUSO
Di recente e per mia non precedente conoscenza dello stesso, ho avuto modo di leggere alcuni stralci fotocopiati dell’ interessante libro "
Memorie di casa nostra" di
Antonio Iannetta, edito nel 1974 e relativo alle origini ed alla storia di Viticuso, Acquafondata e Casalcassinese. Personalmente l’ho trovato interessante fonte imprescindibile di notizie e di ricchezza storico - culturali per chi voglia meglio conoscere questo meraviglioso lembo di territorio, ai margini estremi della Provincia di Frosinone ed ai confini con il Molise, oltre che ricco di spunti per ulteriori approfondimenti. A colpirmi, soprattutto, sono state alcune notizie, riportate in nota (la n. 12 di pag. 86), relative ad ipotetici insediamenti sannitici in territorio viticusano e, quindi, ai nomi di alcune località del circondario, come ad esempio Trasàrce (o Trasàrcia), Fuori e lo stesso Monte Carvello, riecheggianti altrettanti nomi con radici greche e latine. La cosa mi ha spinto a condurre accurate indagini e ricerche, sia sul campo, avendo come preziosa guida locale, il giovane Pietro Neri, che attraverso relativa documentazione, che potessero farmi giungere ad una definizione di più precise notizie che comprovassero possibili presenze ed origini sannitiche del territorio viticusano.
Non c’è dubbio, intanto, che il lago Vitecusum e le zone circostanti si trovassero proprio sulla direttrice di piste sannitiche che, partendo dalle città sannite di Venafrum e della probabile Cesennia (in territorio di Radicosa di San Vittore del Lazio, così come ipotizzato da
Attilio Coletta in "
Centri fortificati del Lazio Meridionale", Atina 1998), si dirigevano verso nord per raggiungere l’altra fortezza sannitica di Aquilonia (Cardito-Cerasuolo) e quella di Aufidena, quest’ultima alle spalle del massiccio montuoso delle Mainarde e più precisamente nel fondovalle abruzzese del valico fra Monte Mare (m.2020) e Monte Cavallo (m. 2039), omonimo di quello più basso (m. 1007) e più vicino a Viticuso. Poi, non proprio stranamente, si ripete, su quel percorso e per ben due volte, un nome molto familiare che ci riporta, indietro nel tempo, al terzo secolo avanti Cristo, epoca delle ultime lotte fra Romani e Sanniti: Monte Carvello (m. 1142), di poco ad ovest di Viticuso, sul massiccio montuoso comprendente anche il Colle Aquilone e la sua cima più alta di Monte Maio e, all’altezza dell’attuale bivio della provinciale proveniente da Vallerotonda, che a quel punto, a quota 794, volta a sinistra per Cardito ed a destra per Acquafondata-Viticuso, il costone boscoso da sempre chiamato (e solo in dialetto locale),
gliù carvièglie. Fatto è che uno dei due consoli romani che, prima nel 293 a.C. e poi nel 272 a.C., condussero sanguinose e vittoriose battaglie contro i Sanniti di Aquilonia e Cominium, prima, e contro la successiva ribellione sannitica al tempo dell’invasione dell’ Italia Meridionale da parte di Pirro, re dell’Epiro, dopo, si chiamava proprio
Carvilio e, più esattamente,
Spurio Carvilio Massimo. Evidente l’assonanza del nomen
Carvilius con i toponimi
Carvello e carvièglie. Proprio da quelle parti dovette molto probabilmente passare, dunque, il console Carvilio con le sue legioni, incontrandovi resistenze sannite. La tradizione orale fece il resto, conservandone il nome, mutandolo di poco e tramandandocelo nelle due versioni di cui sopra. Cosa era successo?
Nel 280 a.C. l’Italia Meridionale, su invito dei Tarentini, fu invasa da un esercito d’oltre mare: era quello guidato dal re dell’Epiro, Pirro. A lui si affiancarono molti dei popoli del centro-sud della Penisola e, fra questi i Sanniti, che da circa dieci anni, ormai, mal sopportavano il dominio che Roma aveva imposto su di loro. Dopo la sconfitta di Benevento del 275 a.C., però, Pirro lasciò l’Italia ma i Sanniti ed altri popoli meridionali continuarono la loro lotta contro Roma. Nel 272 a.C., anno in cui l’antica Casinum diveniva
Praefectura romana, i romani rielessero consoli gli eroi della terza Guerra Sannitica: Papirio Cursore e Spurio Carvilio. Il primo si diresse contro i Bruzi ed i Lucani delle odierne Calabria e Basilicata, mentre il secondo, Carvilio, vero eroe di questa fase della guerra e della vittoria finale, passò da una vittoria all’altra contro le tribù sannite dei Pentri e dei Caraceni, che occupavano gli attuali territori di Cardito, Cerasuolo, Venafro, Isernia, del Matese e della valle del Sangro.
A tal proposito,
E.T. Salmon, massimo studioso della civiltà e della storia dei Sanniti, scrive (
Il Sannio e i Sanniti, Cambridge 1967, pag. 302): "...
Con la stessa metodicità impiegata nelle fasi conclusive della terza guerra sannitica, i Romani annientarono le tribù sannite, una dopo l’altra. Ci volle del tempo, trattandosi di una regione poco urbanizzata, in cui scarseggiavano i centri in grado di costituire obiettivi strategici di una qualche importanza...". Sembra la descrizione di quei territori desolati e montani che dovevano corrispondere proprio al territorio sopra descritto, soprattutto sul versante di Viticuso e Conca Casale. Carvilio, dunque, riportò numerose vittorie consecutive, fino a conquistare Aesernia e Venafrum, anche quest’ultima destinata, qualche anno dopo (269 a.C.), a diventare sede di Praefectura romana. Terreno di scontro con i Sanniti fu proprio la regione montuosa fra Cardito, Vallerotonda, Acquafondata, Viticuso, Conca Casale e, quindi Venafro. Di Monte Carvello, sui cui primi balzi probabilmente sorgeva una fortificazione sannitica, sulle cui rovine i benedettini costruirono nel 1003 il loro castello, al cui posto oggi si erge la chiesa di Sant'Antonino, e del così detto
carvièglie, fra Cardito ed Acquafondata, luogo di assai probabile scontro fra romani e residue resistenze sannitiche, abbiamo già detto. Circa il territorio viticusano, soprattutto ai confini con quello di Conca Casale, resta invece ancora da dire molto.
Proprio da quelle parti, due località portano nomi molto indicativi: il borgo abbandonato e disabitato di
Fuori, in Comune di Viticuso e da cui dista non più di 4 chilometri e la variegata valle di
Trasàrce (o Trasàrcia), in Comune di Conca Casale, ma ad appena un chilometro e mezzo da Fuori. Circa questi due toponimi, abbiamo cercato di studiarne le probabili derivazioni e risalirne ai significati originari.
Trasarce ha una radice molto simile all’ aggettivo femminile greco
thràseia o
thràsia, il cui significato stà per "coraggiosa", mentre la sua desinenza in
-arce non è altro che l’italianizzazione del termine latino
àrx, cioè "cittadella fortificata o fortezza".
Thràsia àrx stava dunque per "fortezza coraggiosa", divenuta, nel tempo, Tràsiarx, Trasiarce e quindi Trasarce o Trasarcia, come qui in molti la chiamano. E’ una località campestre molto vasta, contornata da un fitto sistema collinare che raggiunge i 1000 metri di altitudine e che, probabilmente, fu fortificata dai Sanniti, nel 272 a.C., con le loro tipiche mura poligonali, come quelle possenti ed assai note di Monte Santa Croce, che si erge proprio in quella valle e non molto distante da Conca Casale e da Venafro, a difesa della gola di passaggio dalla valle di Cominium e quindi attraverso il territorio del lago Vitecusum proprio verso Venafrum.
Più controversa, invece, l’origine dell’altro toponimo Fuori.
Da un lato la sua derivazione potrebbe essere latina :
fòrum significava piazza o consimili, come d’altronde il derivato dialettale
fòre stà per "fuori" e quindi per "luogo all’aperto", ma significava anche "borgo". Basti pensare al nome
Forum vetus (borgo antico) che i popoli sabellici, e fra essi i Sanniti, davano all’antica Casinum (
Marco Terenzio Varrone:
De Lingua Latina, I secolo a.C.).
D’altra parte, però, ci sembra più plausibile, data la posizione esterna e lontana della località Fuori rispetto al centro abitato di Viticuso, pensare che Fuori stesse per "fuori Viticuso": un piccolo villaggio ben messo ma oggi disabitato, con bei resti di ville settecentesche di campagna.
Tornando alla prima ipotesi, potrebbe trattarsi, invece, di una piccola colonia romana dedottavi nel 272 a.C. dal console Carvilio, dopo la distruzione di Thràsiarx, ultimo baluardo sannitico a difesa della vicina Venafrum, sui cui resti, successivamente, furono adattate o costruite proprio quelle residenze di campagna settecentesche, ancora ben conservate, anche se abbandonate e deserte.